mercoledì 7 aprile 2010

Willie Nile #2


(continua)

Qualcuno vide giusto. Robert Hilburn descrisse Willie Nile come “quel tipo di rara collezione che vi risveglia alle più ispirate qualità del rock’n’roll”. David Okamoto scrisse che “rimane uno dei più entusiasmanti dischi folk-rock post-Byrds di tutti i tempi”. Nonostante tutto, all’associazione con Bob Dylan non si può sfuggire e questa volta dipende anche da Roy Halee, il produttore di Willie Nile, che ha cominciato la sua lunga carriera negli studi di registrazione proprio assistendo alle session di Like a Rolling Stone. Roy Halee è più noto però per il suo lavoro con Simon & Garfunkel e qui attira qualche perplessità per aver ammorbidito, secondo parecchi pareri, l’irruenza delle chitarre, un dubbio certo più consistente rispetto alla vacua idea del “nuovo Dylan”. Nel disco suonano Jay Dee Daugherty, batterista del Patti Smith Group, Clay Barnes, Tom Ethridge, Peter Hoffman e l’esordio di Willie Nile, con tutto il fascino degli esordi, è uno dei punti più luminosi di una stagione che ha visto è lo zenith di una stagione che vedrà molti protagonisti firmare alcuni dei loro capolavori (Garland Jeffreys con Ghostwriter, Ian Hunter, You Never Alone With A Schizophrenic, David Johansen con In Style, Elliott Murphy con Murph The Surph, Willy De Ville con Return To Magenta, Bill Chinnock con Badlands).
Una bella compagnia che da Darkness di Bruce Springsteen in poi ha definito un nuovo vocabolario e che trova con Willie Nile un classico della ballata elettrica di New York.

Un’influenza che secondo Willie Nile ha delle fondamenta persino geologiche: “C’è un’elettricità in questa città che mi ha sempre affascinato. E’ una città cosmopolita dove ricchi e poveri o chiunque altro possono camminare insieme e vagabondare in mezzo a canyon di cemento e d’acciaio. Ho sentito dire che Manhattan è costruita su un certo tipo di granito che è un forte conduttore elettrico. Quando lasci l’isola, in effetti, ti senti molto più tranquillo”.
New York è l’essenza, l’anima di Willie Nile perché corrisponde a una lunga tradizione di musica da e per la città. In questo senso è il secondo disco di Willie Nile, Golden Down, a celebrare il legame con il sound elettrico di New York, con la vita nelle strade e nei locali, nelle backstreets. Una vicinanza più diretta e immediata perché Willie Nile suona con gli stessi musicisti di Patti Smith, dei Television (e poi ancora con Clay Barnes, il chitarrista che condividerà le sue gesta con un altro “nuovo Dylan”, Steve Forbert, autore a sua volta di un convincente panoramica di paesaggi urbani con Streets Of This Town). In più, Golden Down è più vicino al Willie Nile di oggi e c’è una logica essendosi interrotto un discorso proprio in quel momento. Anche la differenza tra le fotografie delle due copertine è chiarissima: il beatnik e la sua sigaretta dell’esordio (una copertina che, trent’anni dopo, è impensabile: una sigaretta, spenta, sarebbe un caso) con la camicia e la giacca da poeta metropolitano hanno lasciato il posto al giubbotto di pelle contro il muro e a uno sguardo torvo, forse conscio delle difficoltà in arrivo. In comune le copertine di Willie Nile e Golden Down hanno il cavo della Stratocaster sempre inserito (persino nelle fotografie in posa) come se fosse un cordone ombelicale che lo lega al sound della città. Sono dettagli che si notano.

Golden Down, in prospettiva, è ancora più importante perché si lega in modo chiarissimo Willie Nile al suono di New York: è frutto di un ulteriore avvicinamento alle onde del CBGB’s. Ormai diventato una specie di polo di riferimento del sound della città, visto che a completare il gruppo che lo inciderà (in gran parte lo stesso dell’esordio) viene chiamato al basso Fred Smith dei Television. Con lui si crea una sezione ritmica (che, per inciso, qualche anno dopo sarà utilizzata proprio da Tom Verlaine nel tour di Flashlight) perfetta per interpretare le scansioni delle canzoni di Willie Nile e assolutamente a suo agio nel tenore urbano del disco. Sulle chitarre, questa volta, non c’è eccezione che tenga e diventano a loro volta un classico. L’ultimo messaggio che lascerà Willie Nile per lunghi anni è la dedica di Golden Down a John Lennon.
Non deve essere stato facile esordire nell’anno dell’omicidio di John Lennon e un piccolo omaggio è il minimo. Il problema è che entrambi i dischi di Willie Nile, pur suscitando ammirazione e rispetto, non sfondarono nelle classifiche e, come tutti sanno, le belle parole contano fino ad un certo punto. Incombevano anche altri anni, che avebbero imposto nuove regole, difficili da comprendere per un songwriter come Willie Nile, ancora più difficili (se non impossibili) da mettere in pratica e/o da rispettare. In cerca di fiducia Willie Nile firmò nel 1982 con la Geffen Records, che aveva tutte le prerogative per ospitare un songwriter come lui. Era nata nello stesso momento in cui lui esordiva, aveva appena pubblicato Double Fantasy di John Lennon e David Geffen veniva da quell’Asylum Records che aveva fondato per lanciare i dischi di Jackson Browne, avrebbe scoperto Tom Waits e pubblicato gli unici dischi di Bob Dylan (Planet Waves e Before The Flood) fuori dagli storici confini della Columbia. L’Asylum, in tutta evidenza era il passato, e la Geffen Recors aveva (John Lennon a parte) ben altri orizzonti. Il contratto si rivelò un cul de sac.

(2 - continua)

1 commento:

SoloDinamo ha detto...

stasera Willie è a Roma !
beato chi ci va :)