sabato 26 novembre 2016

THE ROLLING STONES Blue & Lonesome

  Dal 2005, dall'anno di A Bigger Bang i Rolling Stones non facevano un disco in studio, una assenza interrotta da un album tutto all'insegna del blues, registrato con la co-produzione di Don Was  in soli tre giorni lo scorso dicembre ai British Grove Studios a West London, poco distante da Richmond ed Eel Pie Island dove il gruppo si formò ed iniziò a suonare nei pub e nei club come una giovane blues band. Un ritorno alle origini e alle loro vere radici quindi, un disco contenente brani non firmati da loro ma appartenenti al vasto repertorio del blues, brani di artisti famosi come Willie Dixon, Howlin' Wolf, Little Walter, Magic Sam, Otis Rush, Jimmy Reed e altri nomi più di nicchia come Little Johnny Taylor, Eddie Taylor e Lightin' Slim. Dodici titoli che a parte I Can't Quit You Baby, cavallo di battaglia dei Led Zeppelin oltre che di Otis Rush, si tengono a debita distanza da  standard straconosciuti per addentrarsi piuttosto nel retrobottega del genere con brani più oscuri e meno noti anche quando portano la  firma dei grandi vecchi del genere. Motivo sufficiente  per reputare Blue & Lonesome un sincero omaggio oltre che al blues stesso, alle origini stesse della band e all' esordio discografico degli Stones, quando rovistando negli archivi del genere configuravano con la loro interpretazione tesa, adrenalinica, bianca e giovane, il nascente British R&B. Il produttore Don Was ha detto " questo disco è un testamento della purezza del loro amore verso il fare musica, e il blues è, per gli Stones, la sorgente di tutto quello che fanno".


Blue & Lonesome è un disco solido e serio specie se paragonato alla sfavillante carriera della band, un disco di Chicago Blues che sarebbe potuto essere edito dalla Chess Records, dove non ci sono facili concessione alla modernità e alle furbizie tecnologiche, un disco a tratti dal sound sporco e viscerale dove gli Stones, a cominciare proprio da Jagger, non scadono in una parodia di se stessi e nemmeno  si accontentano di imitare i bluesmen da cui hanno tratto la loro linfa. Si cimentano di fatti in una interpretazione  pulsante, del tutto autentica,  personale e moderna, pur nel rigore di quella classicità blues che più di cinquanta anni fa costituì la scintilla che diede spinta alla loro macchina e nel corso del tempo è rimasta un punto di riferimento per non deragliare mai, anche nei momenti più pop e commerciali. A partire da Keith Richards e Ron Wood, da sempre i più accreditati bluesmen della squadra visto l'amore per il jazz di Charlie Watts, per finire a Mick Jagger che anche qui giganteggia per come si cala nel ruolo e si sente a suo agio anche come armonicista, gli Stones rimarcano la confidenza con quel patrimonio che costituì il vocabolario con cui imparare a scrivere canzoni e a suonarle. A settanta e più anni ritornano al luogo di partenza, con la dignità ed il rispetto di musicisti che devono tutto a questa musica.
 

Dodici titoli che prediligono la matrice Chicago di un blues urbano, ma non solo, come si evince in Hoodoo Blues (qui alla batteria c'è quel mostro di Jim Keltner, uno dei più raffinati batteristi rock) dove lo stridere di chitarra e armonica e la voce incupita di Jagger portano gli Stones in un juke joint del Mississippi, oppure nella bellissima Little Rain di Jimmy Reed dove l'armonica soffia alta e acuta e le cadenze sono lente e sospese come fosse la più probabile discendente di Bright Lights, Big City. Se si vuole anche la versione di I Can't Quit You Baby sebbene firmata da Willie Dixon e portata nella West Side di Chicago da Otis Rush viene ammorbidita e personalizzata dal tocco inequivocabile di Eric "manolenta" Clapton che ne smussa le asperità e con l'aiuto di Jagger la trasforma in una blues ballad da brividi.

Nel segno di Chicago è Commit A Crime, Jagger ulula alla Howlin' Wolf e la tensione viene accentuata dalla sua armonica, strumento molto presente in tutto il disco e nella windy city sono ambientate  anche Ride' Em On Down di Eddie Taylor e Hate To See You Go dell'armonicista Little Walter, nella quale il sound piuttosto sporco da registrazione anni cinquanta vede le chitarre fondersi con l'armonica mentre Jagger cita baby please don't go.
 

Evocano le origini del British R&B Just Your Fool, altro pezzo con la firma di Little Walter, coma d'altra parte quella  I Gotta Go che pare fondere un po' di Off The Hook con I Wish You Would  portando gli Stones a casa dei primi Yardbirds.

Just Like I Treat You di Howlin' Wolf è della stessa matrice, le chitarre inseguono la sezione ritmica mentre l'armonica svolazza. Più lente sono la stupenda Blue & Lonesome  il cui big bang iniziale non tragga in inganno perché Jagger ad un certo punto pare piangere tanto è coinvolto in questa solitudine blu e All of Your Love di Magic Sam dove la West Side di Chicago torna a nuova vita grazie ad un inciso di armonica gustosissimo, a chitarre che se la sparano alla grande e al sapiente lavoro del pianoforte, qui non mi è dato di capire se Chuck Leavell o Matt Clifford.  

Rimane da dire di Everybody Knows About My Good Thing il cui titolo calza a pennello per portare di nuovo in cattedra Eric Clapton mentre il piano punteggia attorno ad un vago sentore di Little Red Rooster e Jagger canta come se volesse convincerci che lui è un vero bluesman e il bello è che  riesce nell'intento perché la grande sorpresa del disco è proprio lui .
 

Con Blue & Lonesome i Rolling Stones non fanno niente di trascendentale perché l'essenza del blues sta nella terra e nella vita a volte disperata delle persone, loro si impegnano, con una certa modestia vien da dire, ad omaggiare le proprie origini e le radici su cui sono cresciuti, dimostrando serietà e rinfrescando  le primitive passioni. Non è da tutti. Chapeau.

MAURO  ZAMBELLINI    Novembre 2016