giovedì 28 gennaio 2016

LUCINDA WILLIAMS 25 gennaio 2016 Ancienne Belgique Bruxelles

 
C'è una parola tanto semplice quanto chiarificatrice che sintetizza cosa è Lucinda Williams: vera. Un'artista senza filtri e senza pose che riversa sul pubblico un calore incredibile non mancando di ringraziarlo per essere accorso ad un suo concerto, magari facendo tanta strada per poterla vedere ed ascoltare.  Lo si è visto nel comodo, funzionale e acusticamente perfetto Ancienne Belgique di Bruxelles, la sera del 25 gennaio, allorché l'artista dopo un paio di brani ha esternato tutta la sua gratitudine per avere davanti a sé persone così distanti geograficamente dalla sua America, che la applaudivano sincere e commosse e conoscevano le sue canzoni tanto da canticchiarne il ritornello.

E' stato il momento in cui, se ce ne fosse stato bisogno, Lucinda Williams ha tastato con mano l'atmosfera creatasi nel locale e ha cominciato a presentare le canzoni con lunghi aneddoti,  raccontando di sé e della sua vita, dei suoi affetti, di suo padre e dei suoi miti musicali, speziandoli con  qualche battuta spiritosa su di sé e su qualche collega, smitizzando completamente  l'enfasi dell' "evento" rock.  Subito all'inizio, appena salita sul palco dopo il set muscoli e nervi dei Buick 6, la sua attuale band, mentre imbracciava la chitarra cercava vanamente di sistemarsi i polsini del suo strettissimo giubbino di pelle nera e non riuscendoci sbottava "se qualcuno stasera è venuto qui a cercare la perfezione ha sbagliato posto". E faceva partire una Drunken Angel  in grado di riordinare qualsiasi cosa e sciogliere i cuori dei quasi mille presenti che di colpo si ritrovavano catapultati nell'universo di strade polverose e storie marginali, di uomini segnati dalle vicissitudini della vita e di donne che vogliono essere solo sé stesse, che è l'essenza della sua letteratura rock. Una letteratura che nell'occasione si nutre dei suoni crudi e tosti di una band che è tutt'altro che la perfezione in campo musicale ma  ugualmente sembra perfetta per accompagnare i racconti  malandati della Williams, così pieni di abbandoni e di ordinarie miserie, di ruggine e ricordi,  ballate scaldate da una voce dolente e malinconica e poi impennate elettriche di un rock nato fondendo lo sfilacciato country del profondo sud col disperato blues della periferia urbana. 

La Williams non bluffa sulla scena, è autentica da morire e non fa nulla per nascondere la sua pronunciata pancetta trattenuta con fatica  dalla aderente mise in pelle nera,  un giubbetto, i pantaloni strettissimi e gli stivali da biker. Biondissima ma col phisique modellato dai piaceri della bottiglia, quasi fosse la reginetta di un roadhouse texano o la Meryl Streep di Dove Eravamo Rimasti, pure cosciente dei limiti di una band che non è quella con Bill Frisell, Greg Leisz o Doug Pettibone dei suoi dischi in studio ma onesta e gagliarda nel sintonizzarsi sulle note di una musica in cui l'anima incontra la carne, e lo si vede quando lei si avvicina al bravo batterista Butch Norton per accordarsi su alcuni passaggi o lascia completamente liberi i tre (il batterista è David Sutton) di scatenarsi in cavalcate grondanti sangue con Stuart Mathis che sciabola la sua Gibson SG, appartandosi nell'oscurità a lato del palco. Parla, racconta, allude, ringrazia, è palpabile la sua contentezza, proprio alla vigilia del suo compleanno, il 26 gennaio, cosa che spinge il pubblico ad un corale happy birthday to you quando lei  ritorna per l'encore  dopo due ore di show.
 

Senza filtri, si diceva,  anche quando in qualche momento la sua voce sembra genuflettersi ma è semplicemente la tonalità di uno strascicare abbandonato che ha il potere di un urlo di emozione in ballate come Bus To Baton Rouge, West Memphis,  Seeing Black arricchendole di  ancora più intensità e sofferenza.  Magnifiche. Non è la sola Lucinda Williams del concerto,  in Protection  dondola un po' goffa attorno al ritmo vagamente soul del pezzo, in altri titoli veste gli abiti del capobanda e con la chitarra acustica dirige l'orchestra verso un folk-rock dalle tinte nerastre, è il caso della bella World Without Tears, poi tira fuori una voce che zittisce anche il respiro e da sola esegue due brani del nuovo album, appunto Ghosts of Highway 20 e If There's A Heaven  per poi concedersi in coppia, col chitarrista Mathis, nella toccante Lake Charles.

E' un momento in cui la dolcezza si mischia alle cupezze dell'album appena pubblicato le cui liriche sono segnate dalla morte del padre, offrendo un'altra sfaccettatura della sua  sensibilità di autrice, una grande autrice perché sono in pochi oggi ad aver scritto così tante significative canzoni a partire da quel gioiello di Car Wheels On A Gravel Road, anno di grazia 1998. Ma a questo punto della serata, sommersa dagli applausi, l'artista di Lake Charles  lascia da parte la nostalgia e riporta i Buick 6 sul palco, tira fuori le unghie e dà il via ad un finale che ricorderò per parecchio tempo.  Scalda i motori con la cantilena ipnotica di Temporary Nature seguita da Are You Down  prima di infilarsi in un'altra delle sue presentazioni dove ricorda la volta in cui fu raggiunta sul palco di New York da Thurston Moore. Il risultato è assordante, i volumi si alzano e la versione che offre di Suffer Me sembra provenire direttamente da un disco dei Sonic Youth, così come Essence beneficia di un vigore grunge mai sentito.

Ma è l'arrembante femminismo rock di I Change The Locks  a trasformare l'Ancienne Belgique in un arena rock n'roll, tanto bollente che quando arriva Honey Bee  i Rolling Stones, o almeno Keith Richards e la sezione ritmica, sembrano lì partecipi anche loro. Qualcuno, conoscendo le scalette degli ultimi show, chiede ad alta voce Should I Stay or Should I Go dei Clash ma la Williams non si lascia "corrompere" e con una versione spettrale di Hard Time Killing Floor Blues di  Skip James rivendica le origini blues della sua musica e quando i fantasmi della Highway 20 sono definitivamente dileguati una magnifica Joy pone fine alle danze trasmettendo ai presenti un sentimento di vera gioia. Entusiasmante.
 

 
MAURO ZAMBELLINI   GENNAIO 2016

le foto sono di Francesco Calazzo e Marcello Matranga












2 commenti:

armando ha detto...

Peccato non essrci stato !!!

Armando Chiechi

Bartolo Federico ha detto...

Poesia rock.