martedì 24 novembre 2015

BRUCE SPRINGSTEEN The Ties That Bind: The River Collection

Dopo i box dedicati a Born To Run e Darkness On The Edge of Town, si chiude la trilogia delle meraviglie di Bruce Springsteen & The E-Street Band con The Ties That Bind: The River Collection, monumentale box che documenta con foto,parole,musica e immagini l'accidentato percorso che ha portato a quel capolavoro della musica rock.

Avrebbe dovuto uscire a Natale del 1979 l'album che poi partorì The River. Erano già state scattate le foto per la copertina ( Frank Stefanko), una con Springsteen seduto su una staccionata, l'altra davanti ad un albero,  il titolo doveva essere The Ties That Bind come la canzone che lo apriva. Poi le cose, (la storia è raccontata nel Buscadero di dicembre), presero una piega diversa e il disco doppio che tutti conosciamo uscì nell'autunno dell'anno seguente e con un titolo diverso. Adesso quell'embrione di The River, ovvero l'album singolo, è uno dei CD che compongono il monumentale box The River Collection, quattro CD e tre DVD che raccontano di quel periodo e di quello straordinario disco. Il Single Album  è il terzo CD del lotto dopo i due dell'album originale pubblicato il 17 ottobre del 1980, ed è quello che avremmo conosciuto se fosse uscito  The Ties That Bind, un disco in cui primeggiavano le canzoni sull'amore e sulle relazioni uomo/donna. Di fianco a titoli conosciuti come Hungry Heart, The River, The Price You Pay e I Wanna Marry You  qui presi come vennero registrati nelle session del 1979, ci sono delle novità, non del tutto inedite visto la loro circolazione in tanti bootleg del passato. C'è  Cindy  una canzone piuttosto leggera per gli standard della E-Street Band ma che fu seriamente in procinto di entrare nella scaletta del definitivo The River, c'è la versione n.1 di Stolen Car, splendida anche se meno rallentata e rarefatta di quella poi scelta, stessa malinconia ma coi tempi di un polveroso roots-folk con tanto di fisarmonica in bella evidenza. Be True è invece un arioso pop-rock con echi di Byrds ed un classico assolo di sax di Clemons il cui testo sottolinea il tono intimista che avrebbe dovuto avere tutto il single album.  La  You Can Look (But You Better Not Touch) qui presente è meno istintiva e viscerale rispetto a quella che già si conosce ma acquista in aroma fifties, suona difatti come un rockabilly alla Robert Gordon. Riguardo a Loose Ends è difficile capire come non sia stata selezionata per The River, è una canzone bellissima e rimane una delle più sincere love songs del suo carnet, la descrizione di come il rapporto tra un uomo ed una donna si possa guastare fino ad attendere con desiderio che uno dei due prenda il coraggio di dichiarare che la relazione è finita. Una visione piuttosto pessimista dell'amore,  una visione quasi dark che anticipa i toni crepuscolari di Tunnel Of Love. Ma  la voce appassionata di Bruce e i colpi della E-Street Band la tengono salda al periodo in cui venne concepita. Purtroppo prima del karaoke degli anni duemila raramente è stata  eseguita in concerto.

Il CD delle out-takes  abbraccia le session di registrazione tra il marzo 1979 e l'ottobre 1980, divise in un record one di  rarità mai pubblicate e per lo più sconosciute, alcune ricantate da Springsteen per quest'occasione, mixate da Bob Clearmountain e masterizzate da Bob Ludwig, ed un record two costituito da tracce del cofanetto Tracks e due dal triplo The Essential  del 2003. Pane per  i collezionisti è quindi la prima parte del CD, che inizia con il sax, la voce rabbiosa e il ritmo incalzante di Meet Me In The City  e coi toni duri di  The Man Who Got Away, un testo quest'ultima non  lontano dalla crudezza di Highway Patrolman.  Diverse tracce costituirono la base su cui crebbero altre canzoni, ad esempio la nervosa Little White Lies  è un giro tondo elettrico che offrì lo spunto per Be True  mentre da par suo The Time That Never  Was  è una sinfonia romantica con gran lavoro di piano e organo che poteva essere di alternativa a Price You Pay.  A ragione fu scelta quest'ultima e ciò avvalora il fatto che dopo aver sentito e risentito tutto il materiale raccolto in questo Box e aver ascoltato Springsteen raccontare nel DVD-documentario di 60 minuti diretto da Thom Zimmy la tumultuosa genesi dell'album,  una cosa è certa, quello che uscì come The River nell' ottobre del 1980 è il meglio che l'artista potesse scegliere e selezionare tra tutto il materiale a disposizione. Ben vengano le out-takes ma quelle venti tracce ( a parte l'esclusione di Loose Ends e di Roulette, reputata troppo politica e distante dal tema generale del disco), sono la dimostrazione che i tempi lunghi e la meticolosità con cui Springsteen lavorava in studio non sono solo frutto di una esagerata pignoleria ma il prezzo da pagare per avere tra le mani un capolavoro.

Questo non esclude che altri titoli avrebbero potuto tranquillamente compilare un altro album, visto la loro qualità. Ad esempio Night Fire è un urbanissmo rock dai tempi medi, con tanto di sax ed un bel drive di chitarre, un pianoforte che lascia il segno ed un cantato mai così stretto ed impostato, coerente con l'atmosfera serrata e sospesa del brano. Whitetown  ha un taglio più pop mentre in Chain Lightning  si scorge l'eco di Pink Cadillac, uno  sporco rockabilly industriale ancora da limare, con suono di Farfisa, sax baritono e cori persi nella notte. Finisce con un urlo. Party Lights è invece già rifinita e pronta per il disco, cerca spazio tra Two Hearts, Out In The Street e Crush On You. Veloce, gagliarda, drive chitarristico di prima scelta ed un Bruce smagliante dal punto di vista vocale. Già conosciuta in tanti bootleg Paradise By The C è uno strumentale caciaroso e corale, col sax in gran spolvero, l'Hammond arriva da Memphis e la band fa festa in strada. Più  che a The River  appartiene al mood di The Wild and The Innocent. Di tutt'altro tenore Stray Bullet, ballata rarefatta segnata dal pianoforte con sfumature jazz, in qualche modo ricorda Drive All Night , suoni acustici e ridente folk&roll invece per Mr.Outside la traccia che chiude questo record one del CD.

Già note per essere state raggruppate in Tracks le altre undici out-takes non posseggono lo stesso appeal collezionistico delle prime ma per chi si fosse perso le puntate precedenti Restless Nights  e Roulette  rimangono ancora oggi due chicche del songbook di Springsteen e così Where The Bands Are  e' con Rosalita una delle più dirette dichiarazioni dell'importanza dell' essere (e vivere) in una rock n'roll band. La stessa canzone è usata nel DVD relativo al concerto di Tempe come sottofondo per i credits.  Dollhouse  è  una fucilata rock contro un amore finto come una casa di bambole, sprazzi di sixties  si scorgono in Living On The Edge of World con tanto di coretti pa-pa-pa e uh-uh-uh, c'è un muro del suono in Take 'Em As They Come e Ricky Wants A Man of Her  risalente al lontano 1977 è rock n'roll nudo e puro con un tocco di organo Farfisa per sottolineare che "lei è cresciuta e vuole un uomo tutto per sè".
 I Wanna Be With You, altra canzone d'amore con un Bruce mai così deciso, arriva dal maggio del 1979 al Power Station ma fu una delle prime tracce registrate per Darkness, Mary Lou  è il prototipo di Be True, le prime tre righe di testo sono identiche ma qui il tono è più incisivo ed il sound muscolare. Small Things (Big Things One Day Come) ha quello stile pub-rock e fifties che piacque a Dave Edmunds, che ne fece una cover coi fiocchi e  Held  Up Without A Gun  è un rockaccio da sparare a manetta in mezzo ad uno stadio. Comparve la prima volta negli home demos registrati nel 1979 a Holmdel, New Jersey, la versione qui proposta è rimixata da The Essential.



Tre i DVD in questione, il primo è un nuovo documentario in cui Springsteen seduto nel giardino di casa davanti al garage/studio, con chitarra  in mano, racconta per filo e per segno la storia di The River, eseguendo qualche  pezzo in acustico, intervallato da immagini di concerti dell'epoca tra cui la festa per il matrimonio di Max Weinberg, le foto di Frank Stefanko e altri rari scatti di Bruce e la sua band, dentro e fuori dello studio di registrazione. La visione a cui ho assistito non aveva nessun sottotitolo, in nessuna lingua, sarebbe desiderabile la loro presenza nella versione commerciale. Inutile dire che i due DVD contenenti il film del concerto della E-Street Band alla Arizona State University di Tempe  il 5 novembre del 1980, il giorno dopo l'infausta elezione di Reagan a presidente degli Stati Uniti, a cui Bruce fa riferimento nell'introdurre Badlands,  sono una bomba. Non potrebbe essere diversamente, il tour di The River fu micidiale e  diverso dalle maratone esplosive del 1978, forse più rabbiose e lancinanti e dai concerti del 1975 ancora pervasi da una certa innocenza e urgenza giovanile. Quello che si evince da questo show, qui presentato con 24 canzoni per una durata di due ore e quaranta minuti, è uno Springsteen meno viscerale di quello del tour di Darkness forse perché la rabbia per essere stato fermo qualche anno a causa dlla nota diatriba con Mike Appel, è ormai scemata e adesso l'artista ha maggiore consapevolezza di sé come uomo, come rocker e come showman. La E-Street Band è la solita macchina da guerra ed in più si è arricchita di quelle sfaccettature che la portano ad essere a seconda dei brani una R&B revue, un combo rockabilly, un'orchestra soul, la più potente rock n'roll band in circolazione. Ma è Bruce Springsteen ad essere uno showman a tutto tondo, non solo il ragazzo della porta accanto che sta conquistando l'America e il mondo con una gang di amici e concerti che hanno la durata di un viaggio aereo intercontinentale.  La differenza con gli show attuali ed in genere con quelli post Born In The Usa è subito detta, oggi Born To Run è un po' l'apoteosi dello show e arriva nel finale, a Tempe, il concerto parte in sesta con Born To Run  e con la cavalcata selvaggia e l'assolo torcibudella di Prove It All Night.  Come dire questo è il rock n'roll, io sono Bruce Springsteen, questa è la E-Street Band. Punto e a capo.

Ma poi c'è anche un altro Springsteen a Tempe, quello che in Tenth Avenue Freeze Out veste i panni del soulman e si infila in un' incandescente R&B dove non gli serve la sua Telecaster perché gli bastano il microfono ed il sudore per  evocare Wilson Pickett che canta In The Midnight Hour, di cui fa accenno nel finale del pezzo. Oppure quando strimpella la chitarra come fosse Steve Cropper e si dilunga con una storia di sogni, macchine e ragazze, citando no money down di Chuck Berry e finendo nel magistrale rock n'roll di Cadillac Ranch in cui divertente è il gioco a  chiamata e risposta con Clarence,  oppure quando gigioneggia da crooner col lungo prologo appassionato di I Wanna Marry You o fa l'Elvis all'inizio di Fire e si scatena come un rockabilly rebel in You Can Look (But You Better Not Touch) e poi diventa dinamite pura in Ramrod.  Ci sono i classici dei suoi show, The Promised Land, Badlands, Thunder Road e Rosalita  che manda in orbita l'Università dell'Arizona, c'è l'epica e commovente Jungleland e la fulminante Detroit Medley ma c'è anche la concentrazione e l'impegno che accompagnano i brani dell'album appena pubblicato, ovvero  Jackson Cage, la sparatissima Two Hearts, lo sferragliare di Out In The Street, la divertente e corale Hungry Heart non ancora il sing-along che sarebbe poi diventata, la birichina Sherry Darling, la sottovalutata Crush On You  ed una I'm A Rocker alla velocità della luce. E' uno show divertente e intenso, ma anche intimo ed emozionante quando Bruce con sguardo che si perde nell'infinito, senza chitarra ma con l'armonica, si lascia inghiottire dai versi e dalle parole di The River e canta quella ballata come fosse una preghiera.

Ha tempo di cambiare giacca e camicia fradice di sudore ed entusiasmo, lo show è lungo, la serata caldissima, Tempe, Arizona 11/5/80 è uno dei concerti mitizzati del Boss, Rosalita sembra aver stremato sia Bruce che il pubblico ma l'encore è un tripudio, in sequenza sono I'm  A Rocker, Jungleland  e Detroit Medley prima dei saluti e gli abbracci finali sulle note di Where The Bnds Are.  Annata 1980,  tour di The River ovvero una delle ragioni per cui è valsa la pena essere nato. Ottima la qualità audio, mixato in stereo da Bob Clearmountain e rimasterizzato da Bob Ludwig, due veterani delle produzioni del Boss, buona, vista l'età, la resa video, seppur con una predominanza di toni scuri e bluastri, montato da Thom Zimmy, abituale collaboratore di Bruce. A margine anche 20 minuti di immagini tratte dalle prove del The River Tour svoltesi a fine settembre 1980 a Litiitz in Pennsylvania che mostrano Springsteen e la band lavorare agli arrangiamenti di quello che allora era ancora materiale inedito. Cosa dire di più, questo è Bruce Springsteen, l'uomo che ha salvato il rock n'roll.
MAURO  ZAMBELLINI 







martedì 17 novembre 2015

DRIVE BY TRUCKERS It's Great To Be Alive!


Chi conosce l'avventura artistica dei Drive By Truckers sa che i loro album live, ufficiali o meno, sono molto diversi l'uno dall'altro e riflettono un particolare momento del loro percorso. Così Alabama Ass Whuppin' è un furioso attestato della loro giovanile attitudine punk mischiata con i bollori di una disordinata vita sulla strada, Live from Austin è invece l'immagine del loro lato più rootsy, una sorta di americana giusto un po' alcolica per non smentire le abitudini della band e Black Ice Veritè è un urgente private rehearsal show in una notte di gelo e tormenta per presentare in anteprima ai propri fans di Athens il loro disco ( English Oceans) in uscita. Ognuno di questi live rappresenta un pezzettino della loro storia musicale, ma non la esaurisce, se quindi volete una panoramica più ampia della loro dimensione live dovete per forza rivolgervi a questo entusiasmante It's Great To Be Alive! , titolo preso dai versi di una canzone di A Blessing and A Curse del 2006 e cronaca di tre serate tenute al Fillmore di San Francisco il 20, 21 e 22 novembre del 2014. Un live esaltante che ha il pregio di documentare un grande show e di offrire le tante sfaccettature della eclettica personalità musicale dei DBT, una band che nel tempo è cresciuta enormemente ed in quell'area di rock americano che sta tra classicità, radici e spinte moderne, è oggi la migliore. Quarantacinque brani sparsi in tre CD, ma c'è anche la versione con DVD, un piece de resistence dove entra di tutto, dal loro arruffato e imbastardito southern rock a malconce storie perse nel diluvio di un dopo sbronza, racconti sghembi di un sud che pare preso da True Detective o da squinternati discorsi al bancone in qualche roadhouse sulla highway, lunghe esternazioni strumentali talmente acide e fuori di testa da far pensare ad una psichedelia del deserto (Gran Canyon) e cavalcate roots che si intrecciano a fremiti punk col ritmo primitivo di un rock n'roll straccione nato a sud di Memphis, secchi riff che non si capisce se debbano più agli Stones o ai Clash e ballate che hanno dentro di sé quel malinconico orgoglio di chi vive giorno per giorno con fatica e col mistero di cosa sia il domani, poesia elettrica che ormai non scrive, suona e canta più nessuno perché il mondo odierno di uno come Patterson Hood, il miglior letterato rock della sua generazione, non sa che farsene. E allora il rock n'roll per Patterson Hood, per il bravissimo chitarrista, cantante e autore Mike Cooley, per il batterista Brad Morgan, per il tastierista e chitarrista Jay Gonzalez e per il bassista Matt Patton, questa la band di It's Great To Be Alive! , diventa l'unica ragione possibile per sopravvivere e poter sfuggire a quel sud che le loro canzoni ridicolizzano nei suoi stereotipi e miserie culturali. E allora i Drive By Truckers sono la rock n'roll band che legittima una volta di più questa musica, una band fuori tempo e fuori previsione, che non fa sembrare tutto vecchio e passato e tantomeno morto perché quando loro intonano Where The Devil Don't Say o recuperano le novelle di Southern Rock Opera che hanno come titolo Ronnie & Neil, ed è inutile che aggiunga i cognomi, o Shut Up and Get On The Plane, ed è inutile che vi dica di quale aereo si tratti, o Woman Without Whiskey, ed è superfluo dire che di donne così loro non ne conoscono, allora capite che il rock è ancora una questione di pericolo e avventura e quando i DBT salgono sul palco potete essere certi che quel concerto è una questione di vita o di morte, come fosse l'ultimo della loro vita. Quindi alzate il volume ed entrate al Fillmore, oggi è grande essere vivi, e suona come una non banale fortuna visto cosa è successo ai loro colleghi al Bataclan, i Drive By Truckers in più di tre ore di concerto raccontano la loro avventura con una finezza, una energia, una intensità e determinazione che non avevano mai avuto, ridefinendo alla luce dei cambiamenti di organico i brani del passato, quelli di Souther Rock Opera e quelli di The Dirty South, quelli del monumentale Brighter Than Creation's Dark e quelli del rollingstoniano A Blessing and A Curse , prendendo scampoli anche da Go-Go Boots e The Big To Do, oltre naturalmente a English Oceans, il vero fulcro di questa maratona live. Una scaletta che pare dettata dall'estemporaneità del momento, senza nessuna preparazione se non esuadire la voglia di raccontare, con le parole e le chitarre, di Patterson Hood e Mike Cooley, alternati nelle voci, l'uno un prolifico novelliere, l'altro un poeta modernista. Un lungo viaggio che parte con la remota Runaway Train, una canzone che esisteva prima di loro quando si chiamavano Adam's House Cat e poi si addentra in storie di suicidi e depressioni, le struggenti e lancinanti Uncle Frank cantata da Cooley e Goode's Field Road cantata da Hood, nella scatenata Hell No, I Ain't Happy osannata da tutto il pubblico, nelle amare storie di amici musicisti portati via dall' AIDS in The Living Bubba e nel canto disperato di Putting People On The Man su Mary Alice ed il suo trattamento di chemioterapia, nello strambo quadretto famigliare di Box of Spiders preceduto dalla lunga dissertazione di Hood, nei drammi ad alto voltaggio elettrico di Primer Coat e Mercy Buckets e nella commiserazione di vicissitudini sociali, economiche e umane che attanagliano l'amata Lauderdale County nel Nord dell'Alabama. C'è un che di eroico nella loro performance e nelle loro canzoni, dramma e abbandono si susseguono in ordine casuale ma coerente nel dispiegare l' universo compositivo e sonoro creato da Hood e compagni, dove il country-soul lascia spazio a ruvidi passaggi di rockabilly, le radici di un rock periferico si fondono con cavalcate elettriche degne dei Crazy Horse, una A Ghost To Most trasformata in vero freewheeling si alterna al caos di Shut Up and Get on The Plane dove perfino i Replacements sembrano delle giovani marmotte. Realisti quanto la vita, sublimi in ballate dolenti del tipo Angels and Fuselage che si inerpica epica negli assoli di Gonzalez e Cooley, due chitarristi che non fanno rimpiangere le digressioni di Wilco, sferzanti e micidiali quando si compattano e suonano come una potente e cruda rock n'roll band, rurali nella tranquillità idilliaca di First Air Of Autumn e debitori del R&B dei Muscle Shoals quando ospitano una sezione fiati a cui il mixaggio non rende giustizia, i DBT con It's Great To Be Alive! dichiarano a gran voce che il rock n'roll è ancora un grande mezzo per sentirsi vivi.


MAURO ZAMBELLINI NOVEMBRE 2015