mercoledì 22 aprile 2015

DAVID CORLEY Available Light


Esordire a 53 anni può essere un modo per esorcizzare paure, frustrazioni, fallimenti, lutti, ma ascoltando Available Light la prima cosa che viene in mente è perché ci ha messo così tanto tempo David Corley per scegliere la musica come sua salvezza. Si sono perfino accorti anche quelli di Uncut, di solito avari e restii verso questo genere di rockwriters persi nel diluvio, che un paio di numeri fa hanno votato con 9/10 l'album di Corley. D'accordo, l'equilibrio non è il loro forte ma è indubbio che Available Light sia un disco estremamente interessante ed un gradito regalo da parte di uno che altrimenti sarebbe finito in qualche oscuro bar della provincia americana ad affogare nel whiskey le sue cadute e le sue sfortune. La biografia dice di un abbandono scolastico prematuro e di una vita sbandata sulla strada, decine di lavori, autista di camion, muratore, barista e poi un esilio in una sperduta cabin sulle montagne della Georgia prima del ritorno nella nativa Lafayette, stato dell'Indiana, ed un ricovero per infarto. Uscito indenne si mette a suonare con una band di dopolavoristi chiamata Medicine Dog e incontra il musicista canadese Hugh Christopher Brown che si appassiona alle sue canzoni e alla sua voce scorticata e gli produce Available Light. Dietro David Corley non c'è comunque solo il destino perché in gioventù uno zio lo aveva cresciuto abituandolo a trattare bene le orecchie, ovvero  una collezione che ai soliti Beatles affiancava Van Morrison, Neil Young e Dylan, le icone che, a detta di Corley, hanno ispirato le canzoni di Available Light. Disco che al pari di quelli di James McMurtry, e le analogie non finiscono qui, fa della monotonia una virtù. Ballate dolenti, malinconiche, tra folk, rock e country, cantate con una voce che centrifuga una appassita dolcezza con un rauco sapore di alcol&cigarettes evocando le tonalità di Tom Waits, di Greg Brown, dello stesso McMurtry, del Lou Reed del Dirty Boulevard. Musica calda anche se irresistibilmente triste, melodie e qualche coro soul, un lento talking amarognolo nel narrare storie polverose e riflessioni a ruota libera sulla vita e sull'amore, la solitudine che si accompagna alla perdita di qualcosa e qualcuno, i sette minuti di auto-recrimazione di The End Of My Run, eccellente fotografia di un cantante/autore/musicista  che in alcuni momenti raggiunge l'intensità del Tom Waits ispirato di Orphans. Lirico e disperato ma mai piagnucoloso, David Corley concede i suoi momenti migliori nel disordinato soul-blues di The Calm Revolution, nella vanmorrisoniana Beyond Fences, nel nervoso lento running di The Joke dove pare di sentire proprio James Mc Murtry non fosse per una voce più arsa e rauca ed una chitarra alla Stones, nella lenta Easy Mistake quasi una copia di Coney Island Baby di Lou Reed, nei quattro minuti di disperata dolcezza di Unspoken Thing, nella torturata Lean, quasi una murder ballad alla Nick Cave. Fondamentale nel generale clima confessionale di Available Light  il supporto strumentale, un solido e corposo vintage sound da anni '70 creato da musicisti che sanno il fatto loro, oltre alle chitarre e alla sezione ritmica, un ampio campionario di tastiere divinamente suonate, dal pianoforte all'Hammond B3, dal wurlitzer al clavicordo. Registrato tra il Canada e Brooklyn, Available Light è l'ennesimo piccolo miracolo del rock quando parla di vita vissuta e tempi duri senza piangersi addossio, il miglior modo per cercare un barlume di luce in  tanta oscurità.

MAURO ZAMBELLINI   APRILE 2015

 

lunedì 6 aprile 2015

MUSIC IS LOVE

 
Un mondo sfuggente e oscuro esce da 7 Walkers  fatto di intrugli magici e di piogge scroscianti nel bayou, di strambi personaggi che rispondono ai nomi di Chingo, Mr.Okra e lady Sue di Bogalusa e di tipastri che piacerebbero tanto al compianto DeVille, lui che in quei luoghi ci ha vissuto come un lupo mannaro. L’universo dei 7 Walkers è fosco, intrigante e la musica sgorga sinuosa, quasi improvvisata secondo una danza  che evoca antichi spiriti,  figure misteriose, segreti primordiali.

Un disco non collocabile in nessuna categoria di genere se non figlio di quell’immenso crogiolo di suoni e umori che è New Orleans, realizzato dal cantante e chitarrista Papa Mali con il batterista dei Grateful Dead Bill Kreutzmann, col bassista dei Meters George Porter Jr. e il polistrumentista Matt Hubbard. Uscì nel 2010, pochi se ne accorsero, peccato, un disco del genere fa parte del dna del blues più ancestrale e meticcio, roba che non è facile sentire neanche alle pagane latitudini del rock. Ora, a cinque anni di distanza, arriva il seguito, a nome Papa Mali. Con lui un pugno di musicisti che pendolano tra New Orleans, la Louisiana zydeco e il Texas. C'è il batterista  Johnny Vidacovich, la bassista Cassandra Faulconer, la pedal steel di Dave Easley, il piano e l'organo di Josh Paxton, il vibrafono e le tabla di Mike Dillon, le voci degli Harmonaires. Il disco si intitola Music Is Love, proprio come la canzone di David Crosby di If I Could  Only Remember Only My Name di cui ne viene offerta una versione paludosa, scura e psichedelica, che assieme alle altre undici tracce dell'album ci conduce in un mondo  affascinante dove un profano blues del Delta viene miscelato in un gumbo dal sapore forte che evoca l'antico Gris Gris di Dr.John solo accentuato da una ritmica funky ancora più tribale. La voce di Mali sembra arrivare da boschi eterni, i suoi compari suonano come fossero i sacerdoti di un rito voodoo, l'atmosfera è carica di mistero e presagi i sinistri, solitarie chitarre acustiche allentano la tensione solo per creare uno stato di attesa ancora più intenso.  Insomma, nonostante il titolo, Music Is Love non è musica per mammolette, piuttosto una Pasqua animista . Mettetevi un amuleto ed iniziate la danza. Auguri.