venerdì 4 dicembre 2015

THE RIVER : la storia

 
 

 
La leggenda racconta che in un freddo giorno nevoso, prima del Natale 1988,  a New York  era in corso una importante e affollata asta su oggetti provenienti dal mondo dello spettacolo  quali locandine di film firmate direttamente da Alfred Hitchcock, un vestito di prova usato da Judy Garland per Wizard of Oz e altre curiose memorabilia, quando una giovane donna bionda in eleganti abiti borghesi, dopo aver aspettato pazientemente che la folla dei cinefili si diradasse, alzò la mano per fare la sua offerta a proposito degli articoli riportati a pag.41 del catalogo, contrassegnati coi numeri che andavano dal 306 al 311. Sicura del fatto suo, la giovane donna  offrì per il primo di quegli articoli la cifra di 500 dollari ma un distinto signore seduto in fondo al locale rilanciò il prezzo di 2000 dollari e con l'autorità di chi ha soldi da maneggiare e il distacco del vincitore si accaparrò l'oggetto del contendere. La situazione si ripropose invariata anche per gli altri articoli  di quella maledetta pagina 41, ogni offerta della giovane donna veniva sovrastata dal gioco al rialzo dell'attempato signore, che con voce sicura svilì ogni tentativo della giovane donna. All'ennesimo intervento, quasi stizzita, la donna si girò per vedere meglio chi fosse quell'uomo, un quarantenne leggermente in sovrappeso con l'aria del professore che con i suoi modi aveva mandato in fumo gli oggetti del suo desiderio portandosi a casa tutti gli articoli del lotto. Mai si sarebbe immaginato di trovare in quel posto colui che non aveva sicuramente bisogno di spendere tutti quei soldi per della memorabilia su Springsteen, l'uomo, Jon Landau, che dell'artista poteva possedere tutto, in particolare i fogli su cui Springsteen aveva scritto le sue canzoni. Difatti, i pezzi preziosi di quell'asta si riferivano ai fogli su cui l'artista aveva scarabocchiato di proprio pugno  i testi di alcune sue rare canzoni,  un cimelio dell'era Still Mill col titolo di Full Of Love, una canzone mai pubblicata, Still Here, le cui liriche preannunciavano il tema di Darkness of The Edge of Town, un Poem For Clarence che Bruce aveva usato per introdurre sul palco Clarence Clemons e un pugno di canzoni manoscritte (Out In The Street, Slow Fade, Indipendence Day, Point Blank) buttate giù  da Springsteen immediatamente dopo la chiusura di Darkness On The Edge of Town  e  diventate poi l'argomento del missing album di Springsteen del 1979 ovvero The Ties That Bind.  L'origine di quei manoscritti rimane una mistero e in questi casi raramente la casa d'aste rivela la fonte di provenienza ma le indiscrezioni dicono che tale materiale provenisse direttamente dall'ambiente interno a Springsteen. Una tra le voci più attendibili attribuisce  la responsabilità a Mike Batlan, l'originale tecnico delle chitarre di Bruce, che licenziato in tronco dallo stesso per un bisticcio avesse per ripicca occultato i fogli.
 

Comunque sia la storia, e non ci interessa più di quel tanto, questo aneddoto consente di ritornare su uno degli episodi "oscuri" della discografia di Bruce Springsteen, quello della genesi di uno degli album più popolari e osannati del Boss, il terzo capitolo dello storico ciclo  aperto nel 1975 con Born To Run  e chiuso nel 1980 con The River. Pubblicato il 17 ottobre di quell'anno The River  venne beneficiato dal primo posto nella classifica di Billboard e da un tour che consacrò Bruce Springsteen come il più grande performer rock di tutti i tempi. Nelle note annesse al box The River Collection  il giornalista Mikal Gilmore, fratello di Gary Gilmore, quello diventato famoso per aver richiesto l'esecuzione capitale per i due omicidi perpetuati in Utah e poi impiccato nel 1977 (la storia è raccontata da Normal Mailer in Il canto del boia), lo definisce  "l'album cardine di Bruce Springsteen: la cerniera tra le ambiziose agitazioni che l'avevano preceduto e i tumulti musicali più stringati e lo storytelling da brivido che seguirono".

Nel 1975 Born To Run  aveva creato la mitologia della strada, tre anni dopo Darkness aveva portato gli ascoltatori nell'oscurità del sogno americano senza porsi il problema delle cause storiche, The River  inaugurava l'infelice decade degli anni ottanta con un penetrante esame della vita di ogni giorno di tanti americani, tra duro lavoro, amori destinati al fallimento, paura e naturalmente macchine. Un album che è il punto di riferimento di una carriera (come lo sono stati altri doppi album di studio, il White Album  per i Beatles, Exile  per gli Stones, Blonde  On Blonde  per Dylan, Electric Ladyland  per Hendrix,  London Calling  per i Clash) più dal punto di vista del racconto che da quello del successo, ovvero il passaggio da una rappresentazione mitica dell'America ad una visione storica della realtà americana. Gli avvenimenti successivi della sua vita artistica contribuiranno a confermare questa tendenza.

The River  esce in un momento di difficile passaggio politico e culturale oltre che temporale, proprio nel momento in cui l'amministrazione Carter lasciava il posto a Ronald Reagan e alla sua restaurazione. Un disco molto diverso sia dall'euforico Born To Run  che dall'ombroso Darkness,  un insieme di canzoni divise tra potenti rock urbani e malinconiche ballate che riflettevano un senso di tradizionalismo che poteva apparire populista, oltre costituire un punto di non ritorno nella carriera dell'artista del New Jersey. Prima della sua uscita l'orientamento culturale dominante nel suo paese era in molti modi radicato nel retaggio etico degli anni sessanta e settanta, secolare, liberale, anche solidaristico in tante istituzioni; dopo la sua uscita l'orientamento culturale dominante andò verso quella che è l'immagine prevalente degli anni ottanta e novanta, evangelica, conservatrice, molto meno critica verso il potere e la tradizionale autorità. Con i caratteri e le immagini che popolano le canzoni di The River, Springsteen può addirittura sembrare un conservatore, appartenente a quella classe operaia americana che tante volte si è schierata coi repubblicani, anche se in realtà  le cose non sono mai come sembrano e quello che Springsteen stava cercando di conservare nelle sue canzoni era molto diverso da ciò per cui era stato eletto Ronald Reagan. Figlio degli anni sessanta, Springsteen metteva la sua musica al servizio di una visione che per molti versi esalava ancora il profumo degli anni cinquanta, una visione che non evitava gli aspetti meno attrattivi di quella nazione ma nello stesso tempo descriveva le vite individuali anche nel loro lato ordinario e comune. Il protagonista di Sherry Darling sembra un prodotto di una serie televisiva di largo consumo, il lavoratore di Out In The Street assomiglia a qualcuno della generazione di suo padre più che all'etica hippie della propria gioventù e in un periodo dove emergevano Toyota e Honda e l'industria giapponese metteva in ginocchio l'industria automobilistica a stelle e strisce, c'era un che di incosciente nostalgia in Cadillac Ranch. Nel momento in cui Bruce Springsteen lasciava dietro di se l'idealismo esaltante di canzoni simbolo come Born To Run, Thunder Road e The Promised Land, comunque epicentro delle sue sismiche performance, e il ragazzo si faceva uomo, erano le radici a dare supporto alla sua ispirazione, uno spirito retrò applicato alla musica non meno che ai testi. Wreck On The Highway  evoca la classica country music degli anni quaranta e cinquanta, I Wanna Marry You fonde un antico tema romantico con il rock italoamericano di Dion e Frankie Valli, Hungry Heart si libera dalle oppressioni indotte dall'educazione cattolica attraverso una manifestazione fisica e sessuale come il ballo  ed il sound alla Duane Eddy di Ramroad  riporta alle origini del rock n'roll e ai fifties.
 

Ma se The River  fosse semplicemente una serie di quadretti riciclati  sarebbe stato velocemente dimenticato come un pezzo da museo invece di diventare un disco da isola deserta. La ragione della sua longevità è il modo con cui molte canzoni dell'album si occupano di faccende che sono sia contemporanee che senza tempo. Forse il miglior esempio è proprio la stessa The River, una storia di amore destinata ai cliché di una vita  qualunque di provincia, tra preoccupazioni e ristrettezze economiche, una storia che si ripresenta a ogni generazione e non è solo il frutto della sensibilità di un ragazzo americano del 1980. Drive All Night evoca amore, mentre Stolen Car  evoca terrore ma entrambe suonano fresche e confortevoli ogni volta che si ascoltano, anche nella loro struggente malinconia e lo charme malizioso di Hungry Heart è ancora capace di sedurre trentacinque anni dopo essere entrato nelle Top Ten dei singoli e nella heavy rotation radiofonica, in contemporanea con Starting Over di John Lennon e proprio nei giorni in cui questi veniva ucciso davanti al Dakota Hotel.

Lo  Springsteen di The River  può essere visto come un amabile conservatore ma ciò che era interessato a conservare erano le tradizioni musicali, politiche e culturali che avevano reso possibile l'esistenza di Chuck Berry, dei Beatles e di Bob Dylan ovvero conservare valori come l'integrazione, l'uguaglianza e la libertà definita in termini di personale autonomia, in contrasto con quei valori di  cui fu alfiere Reagan ovvero segregazione, competizione e libertà definita in termini di liberismo economico. Le canzoni di The River  simbolicamente riaffermano la possibilità di immaginare un mondo dove il conservare le tradizioni con cui si è cresciuti  si accompagna, come suggeriscono le parole di A Change Is Gonna Come di Sam Cooke,  ai cambiamenti che stanno per arrivare ed è proprio il testo di Independence Day a suggerirlo, laddove Bruce non canta solo dell'indipendenza del diventare adulti e recidere il cordone ombelicale con la famiglia, il padre ed una vita predestinata di fatica e anonimato, ma piuttosto della ricerca di un possibile futuro dove "c'è gente diversa che ora viene e vedono le cose in maniera diversa, e presto tutto quello che abbiamo conosciuto non ci sarà più" .

The River  è il primo vero disco di rock popolare di Springsteen, molto più di Born In The Usa,  la sua musica non è slegata dal contesto socio-temporale in cui nasce ed è pronta a recepire, nel bene e nel male, gli input del momento, un concetto che rischia di sfuggire di mano e annoverare l'artista nel populismo se non fosse che per Springsteeni i dubbi, sugli individui, sulla società, sulla politica, valgono molto di più che le certezze. Mentre in Born To Run e Darkness  Springsteen analizzava la realtà americana osservando  e descrivendo le forze che controllavano le esistenze dei personaggi delle sue canzoni nella dimensione del presente e del quotidiano, senza porsi il problema delle cause storiche, da The River  cominciò a porsi il problema di indicare in che modo le cause dei problemi fossero imputabili alla storia passata del suo Paese. Nebraska,  Tom Joad  e The Rising  andranno ancora più a fondo in questa analisi senza perdere una virgola del potere consolatorio e liberatorio della sua musica.
 

 

        Durante il tour di Darkness  Springsteen aveva già lavorato a canzoni come The Ties That Bind, Point Blank, Sherry Darling, Indipendence Day, Ramrod, alcune delle quali le aveva suonate in concerto, ma la sua casa discografica, allora si chiamava ancora Columbia, era seriamente intenzionata a far uscire un album dal vivo tanto che furono registrati diversi concerti. Fu stampato un dodici pollici con una versione live di Prove It All Night  registrata al Berkeley Community Theater, rimixata da Jimmi Iovine con un suono compatibile per le stazioni radiofoniche Fm. L'uscita venne poi accantonata e si dovettero aspettare altri dieci anni per avere un live ufficiale di Springsteen. In realtà, nonostante il clamore mediatico suscitato qualche anno prima da Born To Run, i rapporti tra l'artista e la Columbia erano tutt'altro che idilliaci, questa difatti non sopportava i tempi lunghi di Bruce, così abituata ad un disco all'anno anche da nomi inattaccabili come Dylan. Era l'usanza in voga negli anni sessanta e settanta ma le cose stavano cambiando perché in quello scorcio d'epoca per un artista  sembrava più conveniente aspettare che un suo album uscisse definitivamente di classifica prima di pubblicarne un altro, evitando così di entrare in competizione con sé stesso. Springsteen lavorava alla sua velocità e la maggior parte dei suoi album hanno sempre rispettato i suoi tempi piuttosto che quelli della casa discografica. Per di più, in occasione del suo secondo disco, la Columbia delusa dalle 65 mila copie vendute, fu realmente in procinto di licenziarlo e quando anche Darkness  si posizionò  lontano dalle previsioni dei manager, (raggiunse il quinto posto di Billboard senza andare oltre) fu seriamente presa in considerazione la pubblicazione di un live per gestire lo stallo. La verità è che alla Columbia non interessava un album ma un singolo di successo. Durante un intervista verso la fine del 1978, Springsteen disse che era invece diventato urgente per lui realizzare un nuovo album, probabilmente per l'estate seguente. Iniziò a lavorare con la band nel marzo del 1979 ma entrò con la E-Street Band in studio al Power Station di New York solo in aprile. Aveva un pugno di canzoni nuove e qualche scarto dei precedenti album, la Columbia non aspettava altro e cominciò a far circolare la voce che il nuovo disco sarebbe uscito a ridosso delle festività natalizie. Le canzoni che Springsteen aveva in mano erano The Ties That Bind, un brano che aveva presentato per la prima volta dal vivo nel novembre del 78, Sherry Darling, altra canzone del Darkness  tour, di cui l'artista diceva che sarebbe stato il singolo con cui anticipare l'album, Indipendence Day  una canzone tanto potente ed emozionante che altri artisti avrebbero costruito un intero disco attorno ad essa, Point Blank un pezzo che era già stato rifinito in tante esecuzioni dal vivo, Ramrod altro debutto del 1978, quella Because The Night scritta per Darkness  e poi finita a Patti Smith e Driving All Night i cui rudimenti erano stati scritti nelle session di Darkness. Inoltre poteva giocare con altre carte, una serie di canzoni come Frankie, Fire, Hearts of Stone, Don't Look Back e Promise, entrate poi nella mitologia delle rarities, brani che avrebbero fatto la felicità di qualsiasi altro artista ma che per Bruce non erano ancora mature.
 

Per capire la tecnica di Springsteen in studio e la meticolosità del suo songwriting qualcuno ha tirato in ballo il carattere chiuso di quando era ragazzo, la scarsa attitudine alle relazioni sociali, il fatto che quando suonava con altri amici musicisti nei club di Asbury Park lui fosse immancabilmente il più serioso e taciturno. Forse è anche questa la ragione per cui un performer capace una notte di stregare uno stadio di 80 mila persone, la notte seguente mantiene l'umiltà di jammare in un club di provincia davanti ad una cinquantina di persone scarse e con musicisti locali. Fanatico nei riguardi del suo materiale privato e carismatico di fronte alle folle, pignolo e certosino, il più prolifico songwriter che possa esserci, prima di far uscire il suo primo disco Greetings from Asbury Park  aveva già messo su cassetta canzoni per almeno tre album, ed il più lento realizzatore di dischi che si ricordi, almeno per una certa epoca, visto che in 17 anni tra il debutto del 1973 e la fine degli anni ottanta pubblicò solo otto album di studio ufficiali. Ogni suo disco, a cominciare da Born To Run, diventava un'avventura massacrante, Springsteen usava lo studio per scrivere e riscrivere i pezzi incessantemente e i membri della band passavano la notte a registrarli aspettando la nuova pila di canzoni che Bruce scriveva di giorno. E ciò fu esattamente quello che successe nelle session di The River.  Prima di andare in studio la band aveva lavorato ad una dozzina di canzoni e a tutti loro, tranne che a Springsteen, quello appariva già un album completo. Le nuove canzoni includevano The Ties That Bind e I'm Gonna Treat You Right, conosciuta anche come Wild Kisses, che pareva piuttosto uno scarto di Born To Run. Poi c'era Tonight, brano muscolare non troppo dissimile da Jackson Cage. Springsteen era più concentrato sulla ricerca di un sound particolare e sull'approccio della band a quel sound piuttosto che sulle parti vocali. Di Tonight si persero le tracce mentre da un demo casalingo dei primi mesi del 1979 saltarono fuori You Can Look e Held Up Without A Gun, canzone questa che avrebbe dovuto essere in The River   ma tagliata fuori all'ultimo momento, ed una ballata, Chevrolet Deluxe, che  biografi come Charles R. Cross dicono possedesse alcune somiglianze strutturali con The River. Quando finalmente Bruce portò nell'aprile del 1979 la E-Street Band al Power Station, dopo le prove, dopo il demo tape, dopo tutto il tempo che si era preso per il songwriting, la prima canzone ad essere registrata fu la sventagliata micidiale di rock rabbioso intitolata Roulette, scritta a caldo dall'artista dopo l'incidente nucleare di Three Mile Island in Pennsylvania. Un mese dopo vennero registrate Cindy, Jackson Cage, Ramrod, Hungry Heart e Be True. C'era materiale più che sufficiente ed in molti casi eccezionale per un album ma Springsteen non ne era soddisfatto. Concepiva un album nello stesso modo che uno scrittore concepisce un romanzo, con un inizio, una fine ed un corpo centrale, e così per lui le canzoni tutte insieme dovevano sempre possedere più forza di ogni canzone presa singolarmente. La prima idea per il nuovo album  prevedeva una facciata A con The Ties That Bind, The Price You Pay, Be True, una romanticheria pop-rock con echi di Byrds che poi uscì come B-side di Fade Away, il rock n'roll proletario di Ricky (Wants A Man of Her) e la grandiosa Stolen Car meno lenta e rarefatta rispetto a quella messa nel doppio The River, con un afflato  decisamente roots determinato dalla fisarmonica di Danny Federici. La seconda facciata contemplava I Wanna To Marry You che nell'album originale perse il to, quella Loose Ends che è una delle migliori out-takes in assoluto del catalogo springsteeniano, dove risuona tutto lo stile della E-Street Band con l' assolo di sax, il drumming potente di Max Weinberg, il piano di Bittan, il refrain irresistibile e la voce di Bruce, un  brano che gli stessi musicisti della band dicono sia stato lo sforzo vocale più elevato mai fatto dall'artista in una seduta di registrazione. Poi ci sono Hungry Heart ed un titolo, The Man Who Got Away, che esisteva  nel notebook a spirale di Springsteen e oggi è disponibile nel CD delle out-takes di The River Collection. Un brano il cui impianto strumentale è sostenuto dall'organo di Federici, la voce è grave e sfiduciata, il ritmo nervoso, l'insieme crudamente rock. Avrebbe dovuto chiudere quella prima idea di album, Ramrod. Era un album diverso dai precedenti di Springsteen proprio per la presenza di diverse canzoni dai tempi medi, di love songs melodiche e di una sorta di easy-going confinante col pop. C'erano sentimenti e romanticismo, dolcezze in Loose Ends e Be True che facevano pensare ad un disco sulle difficili relazioni uomo/donna. Ma la storia non andò in questa direzione. Le cose tra il periodo in cui aveva buttato giù questa lista, presumibilmente all'inizio del 1979 e l'estate di quell'anno cambiarono drasticamente. L'album non era ancora stato mixato e la sequenza di canzoni rimase sulla carta. Springsteen si mise a rivedere ciascun brano e a fare mixaggi e contro mixaggi di ciascun pezzo fino a quando si prese una pausa perché  contattato per partecipare ai concerti antinucleari organizzati dai Musicians United for Safe Energy (MUSE) di cui facevano parte Jackson Brown, Bonnie Raitt, Graham Nash, Harvey Wasserman e John Hall. Bruce Springsteen e la E-Street Band suonarono al Madison Square Garden il 22 e 23 settembre 1979 ma per ragioni inspiegabili non presentarono la devastante Roulette, incentrata sui pericoli del nucleare, ma un set da capogiro con brani noti del loro repertorio più le nuove ed inedite Sherry Darling  e The River.  Dopo di chè l'artista tornò al proprio lavoro rimixando le vecchie tracce e mischiandole con delle nuove, creando quello che effettivamente sarebbe dovuto essere il nuovo album, intitolato The Ties That  Bind.  Della nuova lista, oltre alla canzone titolo, facevano parte Cindy, canzone pop di amore non corrisposto, piuttosto leggera per gli standard abituali della E-Street Band, Hungry Heart, Stolen Car, Be True, The River, una versione rockabilly di You Can Look (But You Better Not Touch), The Price You Pay, I Wanna Marry You e ancora Loose Ends. Questa è la scaletta dell' album singolo mai pubblicato, conosciuto come The Ties That Bind  per cui vennero perfino realizzate foto e copertina.  
 

Tutto ciò risale all'autunno del 1979, il disco avrebbe dovuto uscire a Natale ma Springsteen si fermò per mixare il suo set del Madison Square Garden per l'album No Nukes   e Devil With A Blue Dress fu scelta come radio sampler per inondare la nazione di potenti note rock al servizio di una sensibilità anti-nucleare. Immancabilmente i tempi si allungarono, la Columbia fremeva, l'artista aveva più dubbi che certezze e cambiò drasticamente alcune delle canzoni già registrate, oltre a portarne delle nuove. La band dal canto suo sperimentò delle versioni rockabilly di tutto il materiale a disposizione, Slow Fade  divenne Fade Away, Stolen Car  cambiò pelle in una struggente ballata ma alla fine il disco con quelle canzoni suonava come un party record e nient'altro. Il materiale si sviluppava tra due estremi, tra lo scalpitante rock n'roll di Cadillac Ranch e l'atmosfera intimista di Wreck On The Highway,  in mezzo c'erano oltre mezzo milione di dollari messi nello studio che non avevano ancora portato a nulla. Poi finalmente qualcuno suggerì l'ipotesi del doppio album e allora tutto cominciò ad avere un senso agli occhi di Springsteen. Abbandonò l'idea di un disco pop basato su  canzoni d'amore e prese in considerazione entrambi gli aspetti del party, il tipo che beve con gli amici al bar e la moglie e i figli a casa che piangono soli.  Come disse lo stesso autore allo scrittore Robert Hilburn "avevo un album di canzoni finite ma non diedi il via all'album perché non era abbastanza personale. Questo album, The River , è molto più personale ed intimo, cercavo quella logica interna che univa ogni cosa e adesso qui c'è". Anche il cambio del titolo non è casuale, da The Ties That Bind, i legami che uniscono, a The River  sembra sottolineare come il focus del disco si sposti dalle relazioni uomo/ donna ad un contesto più ampio e generale, una visione che ha suscitato nella critica americana  paragoni coi libri di Steinbeck e con il cinema  John Ford. Ma The River  non è un album che offre delle soluzioni e dei finali, racconta sì delle storie con delle conclusioni ma senza risoluzioni di verdetti morali. Venti canzoni divise in quattro facciate di vinile, un doppio album  assurto all'olimpo del rock, almeno di quello post-70. Furono in tanti ad entrare in contatto con la musica di Springsteen proprio con The River  ( responsabile anche un tour che arrivò alle nostre porte con quel mitico concerto all'Hallenstadion di Zurigo nell'aprile del 1981) grazie ad una canzone-titolo di una forza epica ed un significato simbolico straordinario. E l'intero lavoro non suona come un prodotto della decade in cui uscì ma è una connessione di tutto quanto ha espresso il rock n'roll dagli anni cinquanta in poi nella sua dimensione popolare, compresa la presenza di un lato pop ( Hungry Heart e Sherry Darling), prima assente nella discografia dell'artista. Se c'è un album che viene ricordato come espressione della totalità del sound di Springsteen con la E-Street Band, questo è proprio The River, un doppio album leggendario, un vero disco da cinque stelle anche in virtù della nuova ristampa che ne illumina le sfaccettature e  l' evoluzione.

 

MAURO    ZAMBELLINI   
 

 

 

 

 

 













martedì 24 novembre 2015

BRUCE SPRINGSTEEN The Ties That Bind: The River Collection

Dopo i box dedicati a Born To Run e Darkness On The Edge of Town, si chiude la trilogia delle meraviglie di Bruce Springsteen & The E-Street Band con The Ties That Bind: The River Collection, monumentale box che documenta con foto,parole,musica e immagini l'accidentato percorso che ha portato a quel capolavoro della musica rock.

Avrebbe dovuto uscire a Natale del 1979 l'album che poi partorì The River. Erano già state scattate le foto per la copertina ( Frank Stefanko), una con Springsteen seduto su una staccionata, l'altra davanti ad un albero,  il titolo doveva essere The Ties That Bind come la canzone che lo apriva. Poi le cose, (la storia è raccontata nel Buscadero di dicembre), presero una piega diversa e il disco doppio che tutti conosciamo uscì nell'autunno dell'anno seguente e con un titolo diverso. Adesso quell'embrione di The River, ovvero l'album singolo, è uno dei CD che compongono il monumentale box The River Collection, quattro CD e tre DVD che raccontano di quel periodo e di quello straordinario disco. Il Single Album  è il terzo CD del lotto dopo i due dell'album originale pubblicato il 17 ottobre del 1980, ed è quello che avremmo conosciuto se fosse uscito  The Ties That Bind, un disco in cui primeggiavano le canzoni sull'amore e sulle relazioni uomo/donna. Di fianco a titoli conosciuti come Hungry Heart, The River, The Price You Pay e I Wanna Marry You  qui presi come vennero registrati nelle session del 1979, ci sono delle novità, non del tutto inedite visto la loro circolazione in tanti bootleg del passato. C'è  Cindy  una canzone piuttosto leggera per gli standard della E-Street Band ma che fu seriamente in procinto di entrare nella scaletta del definitivo The River, c'è la versione n.1 di Stolen Car, splendida anche se meno rallentata e rarefatta di quella poi scelta, stessa malinconia ma coi tempi di un polveroso roots-folk con tanto di fisarmonica in bella evidenza. Be True è invece un arioso pop-rock con echi di Byrds ed un classico assolo di sax di Clemons il cui testo sottolinea il tono intimista che avrebbe dovuto avere tutto il single album.  La  You Can Look (But You Better Not Touch) qui presente è meno istintiva e viscerale rispetto a quella che già si conosce ma acquista in aroma fifties, suona difatti come un rockabilly alla Robert Gordon. Riguardo a Loose Ends è difficile capire come non sia stata selezionata per The River, è una canzone bellissima e rimane una delle più sincere love songs del suo carnet, la descrizione di come il rapporto tra un uomo ed una donna si possa guastare fino ad attendere con desiderio che uno dei due prenda il coraggio di dichiarare che la relazione è finita. Una visione piuttosto pessimista dell'amore,  una visione quasi dark che anticipa i toni crepuscolari di Tunnel Of Love. Ma  la voce appassionata di Bruce e i colpi della E-Street Band la tengono salda al periodo in cui venne concepita. Purtroppo prima del karaoke degli anni duemila raramente è stata  eseguita in concerto.

Il CD delle out-takes  abbraccia le session di registrazione tra il marzo 1979 e l'ottobre 1980, divise in un record one di  rarità mai pubblicate e per lo più sconosciute, alcune ricantate da Springsteen per quest'occasione, mixate da Bob Clearmountain e masterizzate da Bob Ludwig, ed un record two costituito da tracce del cofanetto Tracks e due dal triplo The Essential  del 2003. Pane per  i collezionisti è quindi la prima parte del CD, che inizia con il sax, la voce rabbiosa e il ritmo incalzante di Meet Me In The City  e coi toni duri di  The Man Who Got Away, un testo quest'ultima non  lontano dalla crudezza di Highway Patrolman.  Diverse tracce costituirono la base su cui crebbero altre canzoni, ad esempio la nervosa Little White Lies  è un giro tondo elettrico che offrì lo spunto per Be True  mentre da par suo The Time That Never  Was  è una sinfonia romantica con gran lavoro di piano e organo che poteva essere di alternativa a Price You Pay.  A ragione fu scelta quest'ultima e ciò avvalora il fatto che dopo aver sentito e risentito tutto il materiale raccolto in questo Box e aver ascoltato Springsteen raccontare nel DVD-documentario di 60 minuti diretto da Thom Zimmy la tumultuosa genesi dell'album,  una cosa è certa, quello che uscì come The River nell' ottobre del 1980 è il meglio che l'artista potesse scegliere e selezionare tra tutto il materiale a disposizione. Ben vengano le out-takes ma quelle venti tracce ( a parte l'esclusione di Loose Ends e di Roulette, reputata troppo politica e distante dal tema generale del disco), sono la dimostrazione che i tempi lunghi e la meticolosità con cui Springsteen lavorava in studio non sono solo frutto di una esagerata pignoleria ma il prezzo da pagare per avere tra le mani un capolavoro.

Questo non esclude che altri titoli avrebbero potuto tranquillamente compilare un altro album, visto la loro qualità. Ad esempio Night Fire è un urbanissmo rock dai tempi medi, con tanto di sax ed un bel drive di chitarre, un pianoforte che lascia il segno ed un cantato mai così stretto ed impostato, coerente con l'atmosfera serrata e sospesa del brano. Whitetown  ha un taglio più pop mentre in Chain Lightning  si scorge l'eco di Pink Cadillac, uno  sporco rockabilly industriale ancora da limare, con suono di Farfisa, sax baritono e cori persi nella notte. Finisce con un urlo. Party Lights è invece già rifinita e pronta per il disco, cerca spazio tra Two Hearts, Out In The Street e Crush On You. Veloce, gagliarda, drive chitarristico di prima scelta ed un Bruce smagliante dal punto di vista vocale. Già conosciuta in tanti bootleg Paradise By The C è uno strumentale caciaroso e corale, col sax in gran spolvero, l'Hammond arriva da Memphis e la band fa festa in strada. Più  che a The River  appartiene al mood di The Wild and The Innocent. Di tutt'altro tenore Stray Bullet, ballata rarefatta segnata dal pianoforte con sfumature jazz, in qualche modo ricorda Drive All Night , suoni acustici e ridente folk&roll invece per Mr.Outside la traccia che chiude questo record one del CD.

Già note per essere state raggruppate in Tracks le altre undici out-takes non posseggono lo stesso appeal collezionistico delle prime ma per chi si fosse perso le puntate precedenti Restless Nights  e Roulette  rimangono ancora oggi due chicche del songbook di Springsteen e così Where The Bands Are  e' con Rosalita una delle più dirette dichiarazioni dell'importanza dell' essere (e vivere) in una rock n'roll band. La stessa canzone è usata nel DVD relativo al concerto di Tempe come sottofondo per i credits.  Dollhouse  è  una fucilata rock contro un amore finto come una casa di bambole, sprazzi di sixties  si scorgono in Living On The Edge of World con tanto di coretti pa-pa-pa e uh-uh-uh, c'è un muro del suono in Take 'Em As They Come e Ricky Wants A Man of Her  risalente al lontano 1977 è rock n'roll nudo e puro con un tocco di organo Farfisa per sottolineare che "lei è cresciuta e vuole un uomo tutto per sè".
 I Wanna Be With You, altra canzone d'amore con un Bruce mai così deciso, arriva dal maggio del 1979 al Power Station ma fu una delle prime tracce registrate per Darkness, Mary Lou  è il prototipo di Be True, le prime tre righe di testo sono identiche ma qui il tono è più incisivo ed il sound muscolare. Small Things (Big Things One Day Come) ha quello stile pub-rock e fifties che piacque a Dave Edmunds, che ne fece una cover coi fiocchi e  Held  Up Without A Gun  è un rockaccio da sparare a manetta in mezzo ad uno stadio. Comparve la prima volta negli home demos registrati nel 1979 a Holmdel, New Jersey, la versione qui proposta è rimixata da The Essential.



Tre i DVD in questione, il primo è un nuovo documentario in cui Springsteen seduto nel giardino di casa davanti al garage/studio, con chitarra  in mano, racconta per filo e per segno la storia di The River, eseguendo qualche  pezzo in acustico, intervallato da immagini di concerti dell'epoca tra cui la festa per il matrimonio di Max Weinberg, le foto di Frank Stefanko e altri rari scatti di Bruce e la sua band, dentro e fuori dello studio di registrazione. La visione a cui ho assistito non aveva nessun sottotitolo, in nessuna lingua, sarebbe desiderabile la loro presenza nella versione commerciale. Inutile dire che i due DVD contenenti il film del concerto della E-Street Band alla Arizona State University di Tempe  il 5 novembre del 1980, il giorno dopo l'infausta elezione di Reagan a presidente degli Stati Uniti, a cui Bruce fa riferimento nell'introdurre Badlands,  sono una bomba. Non potrebbe essere diversamente, il tour di The River fu micidiale e  diverso dalle maratone esplosive del 1978, forse più rabbiose e lancinanti e dai concerti del 1975 ancora pervasi da una certa innocenza e urgenza giovanile. Quello che si evince da questo show, qui presentato con 24 canzoni per una durata di due ore e quaranta minuti, è uno Springsteen meno viscerale di quello del tour di Darkness forse perché la rabbia per essere stato fermo qualche anno a causa dlla nota diatriba con Mike Appel, è ormai scemata e adesso l'artista ha maggiore consapevolezza di sé come uomo, come rocker e come showman. La E-Street Band è la solita macchina da guerra ed in più si è arricchita di quelle sfaccettature che la portano ad essere a seconda dei brani una R&B revue, un combo rockabilly, un'orchestra soul, la più potente rock n'roll band in circolazione. Ma è Bruce Springsteen ad essere uno showman a tutto tondo, non solo il ragazzo della porta accanto che sta conquistando l'America e il mondo con una gang di amici e concerti che hanno la durata di un viaggio aereo intercontinentale.  La differenza con gli show attuali ed in genere con quelli post Born In The Usa è subito detta, oggi Born To Run è un po' l'apoteosi dello show e arriva nel finale, a Tempe, il concerto parte in sesta con Born To Run  e con la cavalcata selvaggia e l'assolo torcibudella di Prove It All Night.  Come dire questo è il rock n'roll, io sono Bruce Springsteen, questa è la E-Street Band. Punto e a capo.

Ma poi c'è anche un altro Springsteen a Tempe, quello che in Tenth Avenue Freeze Out veste i panni del soulman e si infila in un' incandescente R&B dove non gli serve la sua Telecaster perché gli bastano il microfono ed il sudore per  evocare Wilson Pickett che canta In The Midnight Hour, di cui fa accenno nel finale del pezzo. Oppure quando strimpella la chitarra come fosse Steve Cropper e si dilunga con una storia di sogni, macchine e ragazze, citando no money down di Chuck Berry e finendo nel magistrale rock n'roll di Cadillac Ranch in cui divertente è il gioco a  chiamata e risposta con Clarence,  oppure quando gigioneggia da crooner col lungo prologo appassionato di I Wanna Marry You o fa l'Elvis all'inizio di Fire e si scatena come un rockabilly rebel in You Can Look (But You Better Not Touch) e poi diventa dinamite pura in Ramrod.  Ci sono i classici dei suoi show, The Promised Land, Badlands, Thunder Road e Rosalita  che manda in orbita l'Università dell'Arizona, c'è l'epica e commovente Jungleland e la fulminante Detroit Medley ma c'è anche la concentrazione e l'impegno che accompagnano i brani dell'album appena pubblicato, ovvero  Jackson Cage, la sparatissima Two Hearts, lo sferragliare di Out In The Street, la divertente e corale Hungry Heart non ancora il sing-along che sarebbe poi diventata, la birichina Sherry Darling, la sottovalutata Crush On You  ed una I'm A Rocker alla velocità della luce. E' uno show divertente e intenso, ma anche intimo ed emozionante quando Bruce con sguardo che si perde nell'infinito, senza chitarra ma con l'armonica, si lascia inghiottire dai versi e dalle parole di The River e canta quella ballata come fosse una preghiera.

Ha tempo di cambiare giacca e camicia fradice di sudore ed entusiasmo, lo show è lungo, la serata caldissima, Tempe, Arizona 11/5/80 è uno dei concerti mitizzati del Boss, Rosalita sembra aver stremato sia Bruce che il pubblico ma l'encore è un tripudio, in sequenza sono I'm  A Rocker, Jungleland  e Detroit Medley prima dei saluti e gli abbracci finali sulle note di Where The Bnds Are.  Annata 1980,  tour di The River ovvero una delle ragioni per cui è valsa la pena essere nato. Ottima la qualità audio, mixato in stereo da Bob Clearmountain e rimasterizzato da Bob Ludwig, due veterani delle produzioni del Boss, buona, vista l'età, la resa video, seppur con una predominanza di toni scuri e bluastri, montato da Thom Zimmy, abituale collaboratore di Bruce. A margine anche 20 minuti di immagini tratte dalle prove del The River Tour svoltesi a fine settembre 1980 a Litiitz in Pennsylvania che mostrano Springsteen e la band lavorare agli arrangiamenti di quello che allora era ancora materiale inedito. Cosa dire di più, questo è Bruce Springsteen, l'uomo che ha salvato il rock n'roll.
MAURO  ZAMBELLINI 







martedì 17 novembre 2015

DRIVE BY TRUCKERS It's Great To Be Alive!


Chi conosce l'avventura artistica dei Drive By Truckers sa che i loro album live, ufficiali o meno, sono molto diversi l'uno dall'altro e riflettono un particolare momento del loro percorso. Così Alabama Ass Whuppin' è un furioso attestato della loro giovanile attitudine punk mischiata con i bollori di una disordinata vita sulla strada, Live from Austin è invece l'immagine del loro lato più rootsy, una sorta di americana giusto un po' alcolica per non smentire le abitudini della band e Black Ice Veritè è un urgente private rehearsal show in una notte di gelo e tormenta per presentare in anteprima ai propri fans di Athens il loro disco ( English Oceans) in uscita. Ognuno di questi live rappresenta un pezzettino della loro storia musicale, ma non la esaurisce, se quindi volete una panoramica più ampia della loro dimensione live dovete per forza rivolgervi a questo entusiasmante It's Great To Be Alive! , titolo preso dai versi di una canzone di A Blessing and A Curse del 2006 e cronaca di tre serate tenute al Fillmore di San Francisco il 20, 21 e 22 novembre del 2014. Un live esaltante che ha il pregio di documentare un grande show e di offrire le tante sfaccettature della eclettica personalità musicale dei DBT, una band che nel tempo è cresciuta enormemente ed in quell'area di rock americano che sta tra classicità, radici e spinte moderne, è oggi la migliore. Quarantacinque brani sparsi in tre CD, ma c'è anche la versione con DVD, un piece de resistence dove entra di tutto, dal loro arruffato e imbastardito southern rock a malconce storie perse nel diluvio di un dopo sbronza, racconti sghembi di un sud che pare preso da True Detective o da squinternati discorsi al bancone in qualche roadhouse sulla highway, lunghe esternazioni strumentali talmente acide e fuori di testa da far pensare ad una psichedelia del deserto (Gran Canyon) e cavalcate roots che si intrecciano a fremiti punk col ritmo primitivo di un rock n'roll straccione nato a sud di Memphis, secchi riff che non si capisce se debbano più agli Stones o ai Clash e ballate che hanno dentro di sé quel malinconico orgoglio di chi vive giorno per giorno con fatica e col mistero di cosa sia il domani, poesia elettrica che ormai non scrive, suona e canta più nessuno perché il mondo odierno di uno come Patterson Hood, il miglior letterato rock della sua generazione, non sa che farsene. E allora il rock n'roll per Patterson Hood, per il bravissimo chitarrista, cantante e autore Mike Cooley, per il batterista Brad Morgan, per il tastierista e chitarrista Jay Gonzalez e per il bassista Matt Patton, questa la band di It's Great To Be Alive! , diventa l'unica ragione possibile per sopravvivere e poter sfuggire a quel sud che le loro canzoni ridicolizzano nei suoi stereotipi e miserie culturali. E allora i Drive By Truckers sono la rock n'roll band che legittima una volta di più questa musica, una band fuori tempo e fuori previsione, che non fa sembrare tutto vecchio e passato e tantomeno morto perché quando loro intonano Where The Devil Don't Say o recuperano le novelle di Southern Rock Opera che hanno come titolo Ronnie & Neil, ed è inutile che aggiunga i cognomi, o Shut Up and Get On The Plane, ed è inutile che vi dica di quale aereo si tratti, o Woman Without Whiskey, ed è superfluo dire che di donne così loro non ne conoscono, allora capite che il rock è ancora una questione di pericolo e avventura e quando i DBT salgono sul palco potete essere certi che quel concerto è una questione di vita o di morte, come fosse l'ultimo della loro vita. Quindi alzate il volume ed entrate al Fillmore, oggi è grande essere vivi, e suona come una non banale fortuna visto cosa è successo ai loro colleghi al Bataclan, i Drive By Truckers in più di tre ore di concerto raccontano la loro avventura con una finezza, una energia, una intensità e determinazione che non avevano mai avuto, ridefinendo alla luce dei cambiamenti di organico i brani del passato, quelli di Souther Rock Opera e quelli di The Dirty South, quelli del monumentale Brighter Than Creation's Dark e quelli del rollingstoniano A Blessing and A Curse , prendendo scampoli anche da Go-Go Boots e The Big To Do, oltre naturalmente a English Oceans, il vero fulcro di questa maratona live. Una scaletta che pare dettata dall'estemporaneità del momento, senza nessuna preparazione se non esuadire la voglia di raccontare, con le parole e le chitarre, di Patterson Hood e Mike Cooley, alternati nelle voci, l'uno un prolifico novelliere, l'altro un poeta modernista. Un lungo viaggio che parte con la remota Runaway Train, una canzone che esisteva prima di loro quando si chiamavano Adam's House Cat e poi si addentra in storie di suicidi e depressioni, le struggenti e lancinanti Uncle Frank cantata da Cooley e Goode's Field Road cantata da Hood, nella scatenata Hell No, I Ain't Happy osannata da tutto il pubblico, nelle amare storie di amici musicisti portati via dall' AIDS in The Living Bubba e nel canto disperato di Putting People On The Man su Mary Alice ed il suo trattamento di chemioterapia, nello strambo quadretto famigliare di Box of Spiders preceduto dalla lunga dissertazione di Hood, nei drammi ad alto voltaggio elettrico di Primer Coat e Mercy Buckets e nella commiserazione di vicissitudini sociali, economiche e umane che attanagliano l'amata Lauderdale County nel Nord dell'Alabama. C'è un che di eroico nella loro performance e nelle loro canzoni, dramma e abbandono si susseguono in ordine casuale ma coerente nel dispiegare l' universo compositivo e sonoro creato da Hood e compagni, dove il country-soul lascia spazio a ruvidi passaggi di rockabilly, le radici di un rock periferico si fondono con cavalcate elettriche degne dei Crazy Horse, una A Ghost To Most trasformata in vero freewheeling si alterna al caos di Shut Up and Get on The Plane dove perfino i Replacements sembrano delle giovani marmotte. Realisti quanto la vita, sublimi in ballate dolenti del tipo Angels and Fuselage che si inerpica epica negli assoli di Gonzalez e Cooley, due chitarristi che non fanno rimpiangere le digressioni di Wilco, sferzanti e micidiali quando si compattano e suonano come una potente e cruda rock n'roll band, rurali nella tranquillità idilliaca di First Air Of Autumn e debitori del R&B dei Muscle Shoals quando ospitano una sezione fiati a cui il mixaggio non rende giustizia, i DBT con It's Great To Be Alive! dichiarano a gran voce che il rock n'roll è ancora un grande mezzo per sentirsi vivi.


MAURO ZAMBELLINI NOVEMBRE 2015

giovedì 15 ottobre 2015

LIKE A VISION: Bruce Springsteen e il cinema



 

Diceva Tom Waits: Bruce fa dei piccoli film. Le sue canzoni più vecchie sembrano cortometraggi in bianco e nero. Cose come Wild Billy's Circus Story (The Wild, The Innocent & The E Street Shuffle) erano fatte benissimo. Lui stava ad ascoltare, e assorbiva le cose. Possiede un grande senso visivo, e un grande equilibrio. Detto da uno (non qualsiasi) che ha filtrato a lungo con il cinema, con il teatro e con le immagini in generale, il ritratto non fa una piega ed è il miglior invito possibile a sfogliare Like A Vision, il libro di Paola Jappelli e Gianni Scognamiglio del Pink Cadillac Fan Club, edito da Graus editore. Bisogna per di più aggiungere che, prima di essere cinematografico, il songwriting di Bruce Springsteen è cinematico. La famosa e simpatica battuta di Ray Davies (perché mi piace Springsteen? Non guido e svela in realtà quello che diceva Bobbie Ann Mason: In America accade tutto qui, nelle strade perciò la Thunder Road è sempre lì che aspetta e l'elenco dei road movie è trasversale a Like A Vision e costituisce in sostanza un percorso alternativo (in realtà si potrebbe fare proprio un altro libro), una sorta di traccia (ulteriore) a delineare le coordinate della visione springsteeniana, e non solo cinematografica. Del resto Like A Vision raccoglie tutti i film, con le locandine (quasi sempre sia nell'edizione originale e quella italiana) e brevi ed esaurienti schede riassuntive, che, in un modo o nell'altro, vedono implicati Springsteen e le sue canzoni. Il rapporto a due corsie di Bruce Springsteen e il cinema è rappresentato in entrambe le direzioni. Da una parte le canzoni ispirate, create e immaginate come film e dall'altra le colonne sonore con e/o senza (l'emblematico e contorto caso di Mask di Peter Bogdanovich, tra gli altri) le sue canzoni. Il legame è ambivalente: per la visione cinematografica e lo sguardo d'insieme. Anche se il variopinto apparato di memorabilia pare destinato ai sostenitori di rigorosa e ortodossa osservanza (e basta anche a soddisfare i collezionisti), il racconto di Like A Vision è didascalico quel tanto che basta a renderlo fruibile e approfondito senza essere snob, a partire dalle valutazioni cinematografiche, più che sufficienti a rendere comprensibile, o meglio a tradurre, la speciale relazione tra Bruce Springsteen e il cinema. E' utile magari concordare anche su un'idea di cinema, che non è quella dei criptici maitre a penser o dei premi a la page, ma come scriveva E. L. Doctorow quel cinema che si fa con i veri materiali del mondo perchè intacca le apparenze dal mondo. Con queste prerogative, la congiunzione tra Bruce Springsteen e il cinema è ben più che concreta e Like A Vision ne è la rappresentazione ideale. Curato con la passione dei fans, ma anche con una dedizione certosina ai dettagli (molto elegante la grafica sulla carta patinata), Like A Vision è coerente con il tentativo di rendere chiaro il processo di osmosi tra il cinema e le canzoni, e viceversa. Ci sono un sacco di film e di colonne sonore da scoprire e da riscoprire e di canzoni ne spiccano, volendo, almeno un paio, Lift Me Up e The Wrestler. Lift Me Up perchè è una canzone bellissima e, inoltre, quella rarefazione di suoni è rimasta un territorio gran parte inesplorato (andate a sentirvi la rara versione con il Wurlitzer in apertura del recente live allo Schottenstein Center Columbus, Ohio 2005). The Wrestler perchè la canzone in sè grandissima, meritava l'Oscar (come e più di Streets Of Philadelphia) e perchè in filigrana Springsteen è riuscito a sommare le contorsioni esistenziali del personaggio e quelle, non da meno, dell'interprete (Mickey Rourke) scavalcando i confini tra fiction e realtà All'appello, forse manca soltanto un film: niente di grave perchè sul tema (Born In The U.S.A., il Vietnam) in Like A Vision ci sono già altri elementi, e tutti appropriati, compreso il parallelo con la saga di Rambo. E' solo l'occasione per riportarlo (si tratta del documentario di Bill Coutuniè Lettere dal Vietnam alias Dear America, 1987) e per ricordare che quando i veterani gli chiesero i diritti di Born In The U.S.A. per i titoli di coda, Springsteen gli rispose: è' la vostra canzone, For real, l'uomo è fatto così.

Il libro è strutturato in tre sezioni: il cinema nelle canzoni di Springsteen, le canzoni di Springsteen nel cinema e le soundtracks. Completano il testo la premessa degli autori, la presentazione di Mauro Zambellini, la prefazione di Blue Bottazzi e l'introduzione di Carlo Massarini. Costa 18 euro.
 
 
MARCO DENTI





 

lunedì 28 settembre 2015

KEITH RICHARDS Crosseyed Heart

cr

 


E' difficile essere imparziali davanti a Keith Richards, lui è l'immagine ed il senso del rock n'roll, il pirata di mille avventure, il diavolo ai crossroads, l'uomo che col suo corpo e le sue abitudini ha messo in crisi la medicina ufficiale, il creatore di riff immortali, la faccia sporca di una musica che se fosse stato per i Beatles sarebbe ora in un museo e morta lì. Keith Richards è il rock n'roll, punto e a capo. Ma i suoi dischi solisti non sono la consacrazione di quella musica, per questo è bene rivolgersi alla discografia dei Rolling Stones, piuttosto sono delle vacanze che ogni tanto, nei momenti di ibernazione della band, il Sig. Richards si prende per assecondare la propria voglia di musica in libertà, senza pressioni, scadenze, limiti, doveri. Senza Mick Jagger. Una  pausa di relax, nessun intralcio coi piani della band, piuttosto la possibilità di suonare con amici di vecchi data una serie di canzoni che potrebbero, sparse, stare benissimo  nei dischi degli Stones se non fosse che i musicisti che lo circondano sono diversi. Sono passati ventitre anni dall'ultimo disco a suo nome, quel Main Offender  realizzato con lo stesso produttore, Steve Jordan e gli stessi musicisti, gli X-Pensive Winos con cui aveva tre anni prima risposto alle ambizioni soliste di  Jagger dando alle stampe Talk Is Cheap, il migliore dei due dischi realizzati a quel tempo.

Crosseyed  Heart è sulla falsariga di quest'ultimo ma  non nasce in un momento di crisi della band e nel clima di competizione dei due leader, è solo una passeggiata fuori dal giardino delle Pietre con i vecchi amici del vino costoso, il batterista Steve Jordan, il chitarrista Waddy Wachtel, il tastierista e cantante Ivan Neville, la cantante Sarah Dash, più alcuni tipi del team Stones come Bernard Fowler e Blondie Chaplin (ma in due brani c'è anche il sax del compianto Bobby Keys) e invitati speciali come Norah Jones, incantevole voce in Illusion, il bassista Pino Palladino, il tastierista dei Muscle Shoals Spooner Oldham e Larry Campbell con la lap steel.

Richards ha cominciato a buttare giù i brani di Crosseyed Heart  fin dal 2007 senza fretta e senza avere dei tempi prefissati, registrando di volta in volta con Jordan (co-produttore) e mettendo insieme il tutto con molto disincanto. Il risultato è un disco a tratti sfilacciato e simpaticamente arruffato, distante dalla perfezione imposta da Jagger negli Stones, un disco che da una parte riflette gli amori in campo musicale di Richards, dal blues di Robert Johnson al reggae, dal soul di Memphis al folk di Leadbelly, dal rock n'roll alle ballate, e dall'altra  ribadisce quel modo di suonare che sono tipici di Richards, un aplomb che si traduce in un suono spontaneo, apparentemente improvvisato, come se fosse il risultato di cose che si lasciano andare e si prende ciò che viene, lontano da qualsiasi efficientismo tecnico, qualcosa che sembra uscire per caso quando i musicisti si ritrovano al momento giusto sulla nota giusto. Sappiamo che non è proprio così perché il disco al di là di certe fragilità (voce stentorea e qualche ritmo traballante) mostra una sua eleganza e coerenza e soprattutto pulsa di amore verso la musica autentica, la musica del passato, anche quando la voce dell'autore sembra sul procinto di essere inghiottita e scomparire. E' proprio questo atteggiamento di basso profilo e non chalance, lo stesso che Richards tiene nelle interviste con frasi che paiono il farfugliare di uno che si è appena fumato una canna (d'altro canto non nega che ancora oggi, ripulito da eroina e cocaina, una canna al mattino se la fa volentieri), a rendere affascinante e confortevole Crosseyed Heart,  un disco che si ama perché, con tutti i mezzi a disposizione, suona nel sottoscala del blues e del rock. E del country, una vecchia passione di Mr.Richards, dai tempi di Nellcote e dell'amicizia con Gram Parsons.  "E' un'area che non sempre è possibile praticare con gli Stones, mi pace quella malinconia, quello struggimento, i cuori infranti degli Everly Brothers". E allora sono proprio le ballate le cose migliori di Crosseyed Heart,  pallide, esangui, malinconiche, terribilmente umane.  Se ne ha un assaggio subito al quarto pezzo con Robbed Blind, una ballata dolente e nostalgica, col pianoforte (lo stesso Richards) e la lap steel di Larry Campbell, ed un tocco di chitarra messicana che si infila in una cantina del border come avrebbe potuto fare il ciondolante Hank Williams o il gitano DeVille.  Nothing On Me è appena un po' più mossa, qui la chitarra elettrica tiene un  giro ripetuto dall'inizio alla fine attorno al quale Richards canta con una voce chiara e convincente creando il pathos di una classica ballata rock. Al contrario Suspicious è un sussurro di soul notturno che sa di Al Green, un'atmosfera  misteriosa e dubbiosa, si fa sentire il Farfisa di David Paick, la chitarra di Waddy Wachtel e la voce femminile di Megan Voss, Keith Richards suona di tutto compreso il sitar ed è magnifico. Altra chicca è Illusion, ballata lenta e carezzevole che pare tratta dal Lou Reed di Coney Island Baby  ma la voce sensuale di Norah Jones trasforma in una sorta di romantico duetto tra innamorati.  Just A Gift sembra la continuazione della precedente se non fosse ancor più fragile e arrendevole e Lover's Plea è la supplica di un amante in ginocchio, arrangiata con l'Hammond di Spooner Oldham ed una sezione di fiati che viene dal Sud. La prima cover del disco è Goodnight Irene  la celebre e popolare canzone di Leadbelly che Richards rivisita con dolcezza e sublime trasandatezza, come se Dylan e Hank Williams uscissero da una bettola dopo una bevuta. Una canzone che è sempre piaciuta a Richards,  così da offrirne una versione fedele alle liriche originali dove si cantava "I take morphine and die", completamente in antitesi con "quelle brutte ed edulcorate interpretazioni che  sono state fatte dopo, come quella del Kingston Trio".   

Se queste sono le ballate, il resto suona più aspro e forte. L'inizio tremolante di Crosseyed Hearts è un breve assaggio di country-blues prebellico da 78 giri dove è facile intravvedere Robert Johnson, prima che Heartstopper  riporti Richards sulla strada di quelle composizioni che hanno come modello base Happy, ovvero ritmica sostenuta, riff e rumori elettrici, voce che insegue, adrenalina. Un dinamismo che viene ripetuto in Amnesia, sporca, sincopata e nervosa, con un colpo da maestro di Bobby Keys col sax baritono e in Trouble, sferragliare alla Stones (Richards più Wachtel copia di Richards più Wood) e drumming sostenuto (Steve Jordan). Substantial Damage è un altro esercizio di muscoli, duro, martellante, un voodoo industriale di chitarre assatanate mentre Blues In The Morning  è tutta nel titolo. Keith canta come se fosse stato sveglio tutta la notte e più che il caffè mattutino si stia gustando l'ennesima sorsata di bourbon. Love Overdue è l'usuale omaggio che Richards fa al reggae, il suo passato lo documenta, compresa l'amicizia con Jimmy Cliff, questa è una cover di Gregory Isaacs dove però si sente odore di UB40. E' l'ennesima cartolina dell'ampio mondo musicale caro a Keith Richards, che in Crosseyed Heart  si diverte a girovagare in libertà senza passaporto e regole da rispettare, col  solo intento di soddisfare la sua sensibilità musicale, il suo groove ed il suo, e nostro, sentire. Crosseyed Heart  non è un disco degli Stones ma nemmeno di Mick Jagger, è solo il cuore del vecchio pirata che batte ancora con incredibile vitalità.

MAURO ZAMBELLINI



 


mercoledì 16 settembre 2015

LOVE AND EMOTION A story about Willy DeVille

 
After long gestation i s finally released the English version of LOVE AND EMOTION-A Story about Willy DeVille, written by Mauro Zambellini with foreword by Kenny Margolis and afterword by Marco Denti. Pacini Editore (www.pacinieditore.it)

It's the first, think, Italian musical book translated (by Miss Holly Pilar) into English and the only book in the world about the extraordinary musician, singer-songwriter and performer who was William Borsey Jr. aka Willy DeVille, born in 1950 and dead in 2009). A tribute well deserved and i am proud of helping to remember one of the great forgotten of the rock n'roll history.  A little act of intellectual justice.

You can find the book at: pacineditore.it     Amazon    ibs.it    caru.com    lafeltrinelli.i
 



venerdì 21 agosto 2015

25 agosto 1975 BORN TO RUN

 
Strano che l’anno in cui Born To Run venne pubblicato, il 1975, si era in piena crisi petrolifera e il mito della strada e dell’automobile, tema centrale dell’album, assieme a quello dell' “l’amore è vero”,veniva sottoposto a dura prova.

Sebbene quell'album uscito il 25 agosto di quaranta anni fa costituisca l’espressione più perfetta e compiuta del mito americano della strada, del viaggio e dell’auto, con tutte le sue promesse di libertà e indipendenza,  la sua realizzazione non fu certo una corsa nel vento. Ad un certo punto della sua genesi Bruce Springsteen, ancora lontano dall’essere  the boss, fu sul punto di mollare tutto e la Columbia (la Sony di oggi) in procinto di licenziarlo preferendo puntare su Billy Joel invece che su un artista  i cui primi due album avevano venduto quasi nulla. Furono una serie di situazioni più o meno causali, oltre all’ostinazione e alla pignoleria di Springsteen a far sì che Born To Run venisse portato a termine e, una volta pubblicato, a tramutarsi nel breakthrough album della sua carriera. Una grande opera,  uno dei più esaltanti, romantici, febbrili e contagiosi dischi della storia del rock, capace di riportare tante persone a credere nel rock n’roll come stile ed energia di vita.

La gente vide in quel disco un po’ delle proprie speranze e dei propri sogni”. (Roy Bittan)

 

Nel 1974 erano sempre meno quelli che in casa Columbia nutrivano ottimismo riguardo al futuro di Springsteen. In suo favore giocavano John Hammond, l’uomo che lo aveva scritturato due anni primi ma che in quel periodo si trovava ospedalizzato per un attacco cardiaco e Clive Davis nuovo boss della Cbs, ma l’umore era di generale diffidenza e le attenzioni sembravano rivolte più verso Billy Joel e il nuovo album degli Aerosmith, Toys In The Attic.  Le vendite dell’album d’esordio di Springsteen Greetings From Asbury Park  si erano rivelate  poca cosa,  misere undici mila copie vendute in Usa e solo l’appassionata recensione  su Real Paper del critico musicale Jon Landau che, dopo aver assistito a un concerto a Cambridge nel Massachussetts, scrisse “ho visto il futuro del rock n’roll ed il suo nome è Bruce Springsteen” aveva fatto lievitare le vendite del secondo album The Wild The Innocent and The E Street Shuffle  portandole a quota 150 mila. 

La situazione non era certo rosea e  il manager di Springsteen Mike Appel dopo aver sottoposto ad alcuni dirigenti Columbia il demo della canzone Born To Run si sentì rispondere da Charlie Koppelmann : “i nostri giorni con Springsteen sono alla fine “ mentre Irwin Segelstein fu ancora più brutale : “ questo non è nato per correre, è nato per strisciare”.

Tempi duri insomma. Con Born To Run Springsteen si stava giocando tutta la sua vita e la sua carriera e palese era la convinzione che se non avesse sfondato sarebbe tornato nell’oscurità da cui era venuto. La frase di Jon Landau fu quindi un bagliore in un mare di tempesta, “l’’articolo di Landau arrivò in un momento in cui molte persone, incluse quelle della casa discografica si domandavano se io valessi davvero qualcosa”. (B.S)

Con quella frase, ho visto il futuro del rock n’roll e il suo nome è Bruce Springsteen  volevo affermare che finalmente avevo trovato una nuova forma di purezza, energia e sincerità,  in quel momento assenti nel mondo del rock n’roll”. (Jon Landau)

Un' affermazione importante che indusse la casa discografica a cambiare le proprie strategie, innanzitutto lanciare una campagna pubblicitaria con al centro il disco a cui Bruce stava lavorando da alcuni mesi.

Consapevole dell’importanza decisiva del nuovo album, l’autore si infilò nell’avventura più faticosa della sua vita, ore, giorni e mesi passati in studio di registrazione con la band a realizzare quello che nelle intenzioni di Springsteen doveva essere un disco esplosivo. Ma la lavorazione non fu facile ma travagliata e interminabile.  Barricato nei 914  Sound Studios di Blauvelt con Mike Appel in cabina di regia, Garry Tallent, Clarence Clemons, Danny Federici, David Sancious alle tastiere e Ernest “Boom” Carter alla batteria, Springsteen aveva in mente di registrare il più grande disco di rock n’roll di tutti i tempi. “Volevo scrivere dei piccoli poemi epici dove le introduzioni servivano a preparare la canzone, presentavano i personaggi e creavano un contesto emotivo. Un modo di scrivere molto teatrale che ho usato solo in quel disco. Sapevo di misurarmi con  immagini classiche del rock n’roll che sarebbero diventate dei clichè. Dovetti lavorare tanto per ottenere la giusta anima delle canzoni”. (B.S)

Il sogno che Bruce aveva in testa era semplice e chiaro: cresciuto nel New Jersey con le playlist delle radio della notte, coi singoli degli Animals e degli Stones, con Chuck Berry e la musica soul, col pop pre-Beatles e i gruppi garage americani, con la voce misteriosa di Roy Orbison e le good vibrations dei Beach Boys, voleva infilare tutta quel materiale in un solo disco creando un  potente suono rock capace di entrare nelle case della gente per cambiare le loro vite. Un disco che aveva il sound di Phil Spector, le parole di Dylan e le chitarre di Duane Eddy.  Ci riuscì ma con una immane fatica. Per fare il primo disco aveva impiegato tre settimane, per il secondo due mesi, ci vollero quindici mesi per completare Born To Run, lavorando dodici ore al giorno e rifacendo una canzone magari anche 56 volte. “Mangiavamo, bevevamo e dormivamo con Born To Run”. (B.S)

Di una cosa Bruce era certo, all’Lp necessitava un singolo devastante, un grande hit come fu poi Born To Run, leggendaria canzone capace di sedersi al fianco di Like A Rolling Stone e Satisfaction.
 

Nel 1974 Asbury Park brulicava ancora di vita, quell’estate mi comprai la mia prima auto per 2000 $, una Chevy del ’57 con quattro carburatori e una fiamma sul cofano. Abitavo in una casetta a West Long Branch a nord di Asbury e un giorno mentre suonavo la chitarra sdraiato sul letto mi venne in mente la frase born to run. All’inizio pensai che fosse il titolo di un film o una scritta letta su un’auto. Mi piaceva perché faceva pensare a un dramma da film che sarebbe stato perfetto per la musica che avevo in testa”. (B.S)

Born To Run fu la prima canzone dell’album ad essere completata. Venne registrata agli studi 415 di Blauvelt con la supervisione di Mike Appel e con la “vecchia” E-Street Band con Carter e Sancious in formazione. Era la perfetta canzone pop, il luogo d’incontro tra un arrangiamento sonoro di straordinaria potenza, una cascata di suoni e rumori estrapolata dal wall of sound di Phil Spector, in particolare da River Deep Mountain High di Ike & Tina Turner e Be My Baby delle Ronettes, l’appeal irresistibile delle canzoni degli anni ’60, in primis We Gotta Get Out This Place degli Animals e l’energia del rock n’roll come lo intendevano i figli della working class, con lo spirito di chi è nato per soffrire ma spera di andarsene da una città di perdenti.

Era la combinazione della vecchia pop music che incontra il rock come forma d’arte. Era difficile realizzare una simile cosa e penso che Born To Run ne fosse il primo esempio, sposare l’emozionale comunicatività degli anni ’50 e dei primi anni sessanta, quel modo di Phil Spector di fare della canzone una specie di forma pre-artistica e unirla con le liriche  personali dell’era post Dylan. Quella canzone è diventata uno standard per un mucchio di persone che sono arrivate dopo”. ( Miami Steve Van Zandt)

 


Per i giovani americani degli anni settanta l’auto era ancora un simbolo di libertà nel muoversi e nel viaggiare, alludeva alla libertà e all’autonomia che questi giovani cercavano rispetto al mondo degli adulti. Era un’aspirazione che derivava dalla rivoluzione economica degli anni cinquanta e dalle canzoni di Chuck Berry, uno dei  rocker più influenti di quella decade, Springsteen attinse da quella fonte to per la serie di immagini automobilistiche di cui è costellato l’album, a cominciare proprio dal titolo Nati per correre.

Rispetto ai primi due album così verbosi, floridi di visioni e flash dilaneschi, la canzone Born To Run era più sostanziale, un concentrato di energia con un accelerazione pazzesca e un inizio di batteria che è un fiotto di sangue. L’effimero sogno americano, la città trappola, l’amicizia, il sapere se esiste l’amore, la macchina e la strada, la terra promessa  sono elementi di un messaggio esplicito e condivisibile che non appartiene all’ utopia comunitaria hippie degli anni ’60 ma necessita di una  grande forza e ha solo bisogno di quattro minuti e non sette per farsi ascoltare, e di due personaggi e non dodici per essere vissuto.

Una canzone che richiese parecchio sacrificio e “conteneva gli spunti dei personaggi che mi avrebbero accompagnato nel mio lavoro per i prossimi trentanni”. (B.S). Dopo la registrazione di Born To Run  il tastierista David Sancious sfiduciato per le lungaggini che impaludavano la realizzazione dell’album se ne andò portandosi dietro il batterista Ernest “Boom”Carter e Springsteen che non voleva  affidarsi a dei sessionmen interruppe per due mesi le registrazioni in modo da  organizzare le audizioni per  “l’arruolamento” di Roy Bittan e Max Weinberg. Ci furono sessanta provini prima della scelta giusta ma alla fine  Roy Bittan fu determinante perché il suo pianoforte definì il sound dell’intero album.

A corto di soldi e bloccato nelle registrazioni, Springsteen ad un  certo punto si trovò disperato come colui che vede i propri sogni sgretolarsi. “ Quindici mesi attorno a quel disco….la miglior cosa che posso dire è che quella è l’esperienza più intensa che ho vissuto. Non c’era mai la sensazione che tutto stesse finendo, non vedevi mai la fine, alcuni giorni ti sentivi letteralmente morire, le cose  giravano nell’aria in quello studio e ti sembravano morte. L’unico concetto che avevo chiaro è che volevo fare un grande disco”. (B.S)

Un primo segnale di cambiuamento avvenne quando il demo di Born To Run  circolò informalmente in alcune stazioni radiofoniche di New York, Boston, Philadelphia e Cleveland dove Bruce poteva contare su dj amici che lo supportavano fin dal primo album.

A Cleveland dove già esisteva uno zoccolo duro di fans, Kid Leo sulle frequenze di WMMS iniziò a trasmettere Born To Run ogni venerdì pomeriggio alle 5 e 55, come inizio ufficiale del weekend. La canzone girò in modo “sotterraneo nell’etere” e quando nel febbraio del 1975, prima dell’uscita ufficiale dell’album, Springsteen suonò alla Carroll University di Cleveland e vide il pubblico cantarla a squarciagola rimase di stucco.
 

Kid Leo, che proveniva dai quartieri poveri e dalle palestre di boxe di Cleveland, era solo uno dei tanti di una generazione di dj che in quei giorni nutrivano grande fiducia in Springsteen, contribuendo a creare la leggenda dei suoi show.  A New York alla WNEW c’erano Richard Neer e Scott Mun altrimenti conosciuto come “The Professor”, colui che aveva traghettato il pop-Am nel rock-Fm, poi seguiti dal mitico Ed Scelsa. A Boston alla WBCN, una delle prime grandi radio underground in Fm, c’era la giovane Maxanne che già nel 1973 aveva invitato in studio Springsteen per un’intervista ed una audizione (per le cronache suonò Blinded By The Light, Bishop Dance, Song To Orphans e Does This Stop at 82nd Street), infine c’era  Ed Sciaky di WMMR  a Philadelphia, forse il primo conduttore radiofonico amico di Bruce che contribuì con le sue dirette a far impazzire i kids in Philly con le leggendarie apparizioni del Boss al Main Point, in una delle quali, nel febbraio del 75, Springsteen presentò in anteprima Born To Run  e altri brani del nuovo album ancora inedito.

Born To Run suonato dal vivo nei club e diffuso dalle stazioni radio amiche  cominciò a muovere le acque e a creare l’ attesa spasmodica del nuovo disco. Fu un movimento dal basso  che investì l'audizione rock, erano gli anni ’70 e le radio, non certo impacchettate e standardizzate come oggi, avevano il potere di veicolare gusti e attese indipendentemente da quello che veniva deciso negli uffici delle case discografiche e dai loro lacchè radiofonici. Fu anche questo moto dal basso a spingere la Columbia a rivedere le proprie priorità. Decisiva fu l’entrata in campo di Jon Landau, in quegli anni uno dei critici rock più rispettati d’ America e produttore del secondo disco degli MC5, che, dopo la celebre frase sul futuro del rock n’roll, fu contattato personalmente da Springsteen una notte con una telefonata di tre ore in cui parlarono di musica come se stessero ascoltando i 45 giri della loro gioventù.

Dissi ad Appel che avevamo bisogno di qualcun altro. Ci serviva l’abilità, l’opinione e l’energia di qualcun altro”.( B.S)

L’incontro tra quei due disperati e solitari (Bruce era in crisi nera col disco e Landau appena divorziato e affetto da una seria infezione allo stomaco) accelerò gli eventi. Landau lasciò la sua carriera di giornalista e nell’aprile del 1975 divenne il produttore di Springsteen, e Bruce realizzò il disco che cambiò la sua vita e quella dei suoi amici e compagni.  Come prima mossa Landau costrinse Springsteen ad abbandonare i 914 Studios per trasferirsi a Manhattan nei più attrezzati e sofisticati Record Plant ingaggiando come ingegnere del suono Jimmy Iovine, fresco della registrazioni di Rock n’ Roll di  John Lennon con Phil Spector. 


L’avvento di Jon Landau non fu la bacchetta magica della favola “eravamo ancora nella fase in cui si mettono insieme gli arrangiamenti, non tutto iniziò a filare liscio” (B.S) perché nei nuovi studi l’odissea proseguì con tutto lo stress e il maniacale perfezionismo di cui  Springsteen era capace. La band era esausta e Bruce si trovò spesso collassato sul mixer incapace di dare forma al sound che aveva in testa e finire quel disco diventato un incubo.  Il contributo più importante di Jon Landau fu l’ essere in grado di analizzare ogni canzone e scomporla in tutte le sue parti facendola apparire meno complicata”. (M.Appel)

Dopo un breve periodo di relax passato con la band a suonare nei club, tra l’aprile e il luglio del ’75 ci fu l’affondo finale in sala di registrazione. Un giorno arrivò Steve Van Zandt che non faceva ancora parte della E-Street Band (non sono mai stato diplomatico, arrivai in quegli studi, mi sedetti sul pavimento e ascoltai i fiati di Tenth Ave.Freeze Out, erano tutti sbagliati. Allora cantai loro i riffs e quello fu l’arrangiamento che finì nel disco) ma lo stress, dopo ore di overdubbing nel tentativo di ricreare quella sorta di grande suono rimbombante e compresso che assomigliava al wall of sound di Phil Spector , si stemperò solo il 19 luglio quando l’album fu ufficialmente finito.

Avevamo le date del tour pronte e il disco non era ancora finito. L’era della computerizzazione era ancora lontana e molte operazioni dovevano essere fatte manualmente. Lavorammo al mixaggio fino al primo giorno del tour”. (Jon Landau)

Nonostante gli sforzi immani Bruce non fu contento del risultato e quando l’ingegnere del suono Jimmi Iovine glielo presentò scaraventò il master in piscina.

Lo odiavo, non riuscivo ad ascoltarlo. Penso che fosse la peggior  schifezza che avessi mai sentito ma ero esausto e quando uscii dallo studio e mi infilai in auto per raggiungere il concerto mi sentii come stessi andando in vacanza. Non ne potevo più dello studio”. (B.S)                                                                                   

Il giorno dopo vennero portati gli acetati alla Columbia ma Springsteen propose alla casa discografica di registrare l’intero album dal vivo al Bottom Line. Naturalmente quelli della Columbia scelsero un’altra strada e investirono 250.000 dollari sul futuro del rock n’roll. Furono considerati diversi titoli tra cui American Summer  perché l’album avrebbe potuto raccontare una storia lunga un’estate ma il 25 agosto del 1975 Born To Run era nei negozi e la vita di migliaia di persone sparse per tutto il pianeta cambiò improvvisamente.  

 

Mauro   Zambellini