sabato 18 gennaio 2014

BOB WOODRUFF

 
La solita vecchia storia. L'inizio promettente come country-singer ed autore di  canzoni,  la gavetta con la band The Fields, due dischi all'attivo come solista negli anni novanta (Dreams & Saturday Nights del 1994 e Desire Road del 1997) svaniti nel nulla nonostante i titoli "filmici" e le ottime recensioni nel mondo del country, un amicizia consolidata col maestro  Doc Pomus, qualche canzone nella heavy rotation delle stazioni radio country americane e canadesi, sostanzialmente una carriera promettente ma ferma in rampa di lancio, fino all'inevitabile periodo depressivo coincidente ai problemi di una madre gravemente malata e sola. Un lavoro come magazziniere per poter procacciare i soldi delle cure mediche e un graduale scivolamento nelle spire della dipendenza. Eroina per di più, il conseguente deperimento fisico e diverse ricadute, dentro e fuori dai centri di riabilitazione fino ad una ennesima e quasi fatale overdose. Sopravvissuto per miracolo viene preso sotto cura da Buddy Arnold, fondatore del Musicians Assistence Program, che lo porta a Los Angeles ( Woodruff è nato nel 1961 a New York) e lo costringe a seguire un impegnativo programma di riabilitazione  che lo libera dalla dipendenza e lo ripulisce. Una storia simile a quella di molti outlaw del country,  Steve Earle su tutti, qui senza galera e vistosi guai giudiziari,  finita bene e argomento di una storia raccontata da William Michael Smith sulle pagine del Houston Press e  usata da Jesse Kornbluth del Huffington Post come paragone al  Jeff Bridges del film Crazy Heart. Il finale è positivo,  non ci sono bandiere a stelle e strisce che sventolano nell'ultimo fotogramma del film ma il recupero fisico e artistico di  Bob Woodruff , ancora tra noi con le sue canzoni, il suo talento ed un nuovo disco, The Year We Tried To Kill The Pain, titolo esplicativo sulla sua redenzione. Uno di quei dischi di songwriting al suono del rock che se fossero usciti all'inizio degli anni ottanta si sarebbe guadagnato lodi e segnalazioni da entrambe le sponde dell'Oceano, specie sulle riviste che bazzicano il confine tra canzone d'autore e roots- rock . Il disco del ritorno è stato registrato in Svezia, nuova frontiera del rock e del noir,  con un team di musicisti locali ma con l'aiuto  significativo di Benmont Tench al piano e all'organo, presenza che sposta il baricentro della musica di Woodruff, un tempo orientata verso il country, in direzione di un rock d'autore con forti accenni pettyani. Lo si avverte immediatamente, nell'iniziale I Don't Know, biglietto da visita di quella che è la parte rock del disco, chitarre in odore di Byrds, voce alla Petty, melodia ariosa, vento nei capelli e strade di California. Un bell'inizio per un disco senza smagliature, gradevole e fresco, di una piacevolezza estrema, ben cantato e ben suonato, con Woodruff che non ha smarrito la cura dei dettagli e la brillantezza compositiva, un mix di eleganza, appeal sixty-pop  appreso da Doc Pomus e tocco rootsy all' americana. Sono diverse le tracce che viaggiano su questa corsia, I'm The Train  sembra uscita da un disco di Roger McGuinn grazie anche all'agile arpeggio chitarristico di Woodruff, così come I'm Losing You , pedal steel e country-rock alla maniera di Petty e la dolorosa The Year We Tried To Kill The Pain, viaggio autobiografico in una esistenza devastata da alcol, droghe, incontri d'amore nella notte di Memphis sull'erba di Graceland (dopo averne scavalcato le mura) e soldi che finiscono, chiusa da un' insistente richiesta di salvezza attraverso l'amore. Mai banali i testi di Woodruff anche quando trattano una semplice love song,  nella lenta e accorata Feel Way I Feel, nella sussurrata e acustica If I was Your Man  e nella lacrimosa So Many Teardrops.  In Paint The Town Blue si sente l'eco dei Beatles, nella scoppiettante Bayou Girl  tra cipressi, spanish moss, paludi e swamp-blues si fa largo il piano boogie di Benmont Tench . Bob Woodruff non nasconde il suo ritrovato benessere facendosi fotografare in copertina e nel booklet in compagnia di una maliziosa signorina in guepiere. Tutte sue le canzoni ad eccezione di una rallentata e crepuscolare versione di Stop In The Name of Love  del rinomato team Holland-Dozier-Holland.

 

MAURO ZAMBELLINI