lunedì 18 marzo 2013

SOUTHSIDE JOHNNY & the poor fools


SONGS FROM THE BARN

Non si è fermato agli standard del suo incandescente rock/soul degli inizi, Southside Johnny, il fratellino povero di Bruce che in diversi momenti ha saputo cambiare le carte in tavola offrendo dischi diversi da quelli che li avevano preceduti, alcuni incerti, altri perfettamente riusciti come il rockatissimo Better Days del 1991, il bluesato Messin' With The Blues del 2000 ed il più classico Going To Jukesville dell'anno seguente. Succede ancora ed in maniera ancora più netta oggi,  visto che per questo Songs From The Barn il nostro piccolo eroe del Jersey Shore fa a meno degli amati Asbury Jukes e si presenta con un nuovo combo, i Poor Fools ovvero Jeff Kazee alle tastiere, Tommy Byrnes alle chitarre, John Conte basso e contrabbasso, Neal Pawley chitarre, tuba e trombone, Francis Valentino batteria e i due invitati Soozie Tyrell violino e mandolino e Andy York dobro. Una formazione allargata per un suono affatto ridondante e potente, molto diverso da quello  ferocemente rock del precedente Pills and Dummo, piuttosto un sound a metà tra acustico ed elettrico finalizzato a sottolineare sottigliezze di blues, soul, country e musica messicana di cui il disco è zeppo. C'è qualcosa che ricorda Messin' with the Blues ma in questo nuovo non è solo il blues ad esserne coinvolto perché basta guardare le cover del disco, Down Home Girl/Something You Got di Leiber/Stoller e Chris Kenner, Just Like Tom Thomb's Blues di Bob Dylan, I Can Tell di Bo Diddley e Old Kentucky Home di Randy Newman, per accorgersi che qui il campo è più ampio e la miglior fotografia della musica che  viene fuori da Songs From The Barn  la dà proprio il titolo e la copertina del disco con quei riferimenti rurali.
E' un bel disco Songs From The Barn anche senza il caldo soffio r&b dei dischi classici di Southside Johnny, qui in primis c'è la voce di Southside Johnny mai così roca e bluesata,  a tratti perfino waitsiana ed in qualche ballata dal sapore on the border, Mexicali Waltz ad esempio ma anche Beneath Still Waters , sintonizzata su quello stile pachuco e sullo charme reso popolare da Willy DeVille. Mexicali Waltz sembra uscito dal repertorio del gitano quando bazzicava  New Orleans e i mariachi e non è l'unico rimando a quelle atmosfere perché Gone Underground batte la strada della  ballata romantica e spezza cuori, segnata dalla chitarra acustica, dal pianoforte e dall'armonica (lo stesso John Lyon), così come Down Home Girl cucita con la  scoppiettante Something You Got porta in scena quel soul che prima di DeVille è appartenuto agli Stones degli esordi e Blood From A Stone, firmato come altri brani dalla coppia Kazee/Lyon, si addentra con leggerezza da campioni, tra fisarmoniche e piccole distorsioni, nelle notti del border.

venerdì 1 marzo 2013

THE JAMES HUNTER SIX


MINUTE   BY  MINUTE   

Ci sono artisti e dischi che godono di una scarsa esposizione mediatica nonostante il loro valore e la loro bellezza. E' il caso di James Hunter cantante di R&B inglese arrivato al suo quinto disco solista, pressoché ignorato dalla stampa dei grandi numeri sebbene sia autore di dischi realizzati con la cura e l'artigianalità di una volta. Non è l'unico e non sarà nemmeno l'ultimo ma ogni volta ci si stupisce della quantità di lodi sperticate che vengono rivolte a  qualche benedetto dello show business ed il pesante silenzio, invece, che circonda altri. Come dire che, anche nel rock, il merito quasi mai viene premiato. Ad esempio nell'anno appena trascorso la maggior parte delle riviste specializzate internazionali hanno consacrato ai primi posti delle loro classifiche uno come Frank Ocean, almeno in materia di soul, autore di un disco che più glamour, fighetto e patinato di così si muore. Le stesse riviste non hanno mai speso una parola di elogio per James Hunter, uno che se lo mettete nel lettore ci sta come minimo una settimana di fila, e non avete bisogno di altro. Già coi due precedenti lavori, People Gonna Talk  (2006) e The Hard Way  (2008) il cantante di Colchester, Sussex si era fatto notare per l'eleganza ed il feeling con cui proponeva un soul-blues ed un R&B fortemente debitori dell' era d'oro del genere. Il primo ad accorgersi delle sue qualità vocali era stato Van Morrison che comparve nel primo disco di Hunter, Believe What I Say  del 1996 e poi lo ingaggiò come backing vocal  nello strepitoso A Night In San Francisco  e in seguito in  Days  Like  This.  Un curriculum di tutto rispetto che Hunter ha messo a frutto imparando l'arte del soulman di rango, caso abbastanza raro in un epoca in cui il soul è spesso inficiato di hip-hop, arrangiamenti ridondanti, voci zuccherose,  tecnologia. James Hunter è un soulman vecchio stampo che confeziona i suoi dischi con la precisione e la cura degli artigiani di un tempo, poche cose messe al punto giusto, arrangiamenti misurati, una voce morbida e avvolgente che ricorda  Sam Cooke con qualche accento di Otis Redding e Joe Tex, un pizzico di blues ed una band che sta tra Memphis e i Rumour.

Il nuovo lavoro Minute  By  Minute  è un piccolo gioiello, R&B di scuola Stax, deep-soul di provenienza sudista, qualche scampolo di reggae e ska shakerati con mano inglese alla Graham Parker, ballate e tanto Sam Cooke. Canzoni mai ripetitive ed una soprafina qualità di scrittura, oltre ad una buona produzione, quella di Gabriel Roth (Amy Winehouse, Sharon Jones) che ha aggiunto qualcosa in più rispetto ai precedenti lavori.