martedì 20 marzo 2012

Dr. John > Locked Down


Chi ama il sound di New Orleans sa che il pianoforte ha un ruolo di prim'ordine e non c'è nessuna città al mondo che ha avuto tanti e bravi musicisti come "The Big Easy". Fats Domino, James Booker, Professor Longhair, Allen Toussaint, Eddie Bo, Dr. John sono i primi che mi vengono in mente, alcuni di loro hanno fatto scuola, altri sono stati semplici sideman ma il R&B di New Orleans si differenzia da quello di Memphis, del sud, di Detroit e delle altre città americane per un particolare tipo di ritmica a cui concorre anche il pianoforte, non sempre suonato da solista ma spesso usato in funzione di accompagnamento ritmico.
Tra i pianisti della città ancora in attività, Mac Rebennack alias Dr. John, è quello più prolifico e quello che si è conquistato una fama anche tra il pubblico del rock dal giorno in cui partecipò al concerto di The Last Waltz. Ha alle spalle un sostanzioso curriculum di dischi, concerti, apparizioni, canzoni divenute famose (una su tutte Such A Night) e oggi è considerato il pianista numero della città. Alcuni suoi album sono entrati nella mitologia del rock e del R&B, basti a pensare a Gris Gris del 1968, una immersione nelle atmosfere fosche e scivolose del voodoo, oppure Dr. John's Gumbo del 1972 considerato dalla rivista Rolling Stone uno dei dischi fondamentali del secolo passato o In A Sentimental Mood del 1989 un affondo nel jazz di Duke Ellington e Cole Porter con un duetto con Ricky Lee Jones da pelle d'oca. In tempi recenti, vale a dire nel 2004, Dr. John ha realizzato con N'Awlinz Dis Dat or Dudda uno splendido e affascinante viaggio nelle viscere, nelle tradizioni e nel cuore misterioso della sua città, un disco superbo che qualsiasi appassionato di musica dovrebbe avere.
Dr. John è un istrione capace di cambiare pelle e poi ritornare a essere quello che è sempre stato. Uno sperimentatore anche, un giocatore d'azzardo, un perfetto gambler in grado di giocare con la modernità senza abbandonare le sue radici, il suo stile inconfondibile, la sua musica. Negli anni novanta con Televsion tentò un approccio ad un suono rock più tecnologico, non del tutto riuscito, oggi ripete l'azzardo col chitarrista dei Black Keys Dan Auerbach nelle vesti di produttore.
Entrambi volevano un disco sulla falsariga dei primi due album del dottore, quelli più intrisi di voodoo e tribalismi sonori, per intenderci Gris Gris e Babylon del biennio 1968-69. E difatti appena parte la prima traccia di Locked Down ci si accorge che l'affermazione ha una sua verità perchè sibili, versi animali e rumori strani evocano l'atmosfera appiccicaticcia e misteriosa di qualche rito dalle parti del bayou St.John prima che il dottore cominci a vociferare con quella voce da gatto in calore un fosco R&B dal ritmo drogato. Siamo di nuovo a casa, tra i misteri e i peccati di New Orleans, stappate un vecchio Bordeaux in onore degli spiriti della notte. Subito dopo però, quando parte Revolution ci accorgiamo che qualcosa è cambiato e quella che era una danza per la scerdotessa del voodoo Marie Laveau adesso è un groove riverniciato di fresco coi colori che vanno di moda oggi nel rock. Suoni del nuovo status tecnologico. Ebbene sì, anche il dottore ha dovuto scendere a patti col diavolo, lui che il diavolo lo conosce bene. Locked Down non è un disco elettronico o una artificiale esibizione di suoni lucidi e patinati, è solo un disco dai suoni moderni un po’ diverso da quell'archeologia sonora che ci ha abituato New Orleans e la sua storia. Per la prima volta nella sua carriera Dr. John ha cambiato modo di fare un disco, difatti la musica e i suoni sono venuti prima delle canzoni e delle liriche. Dan Auerbach che ha conosciuto Dr. John in una recente edizione del Bonnaroo Festival, ha messo insieme un team di musicisti (Max Weissenfeldt alla batteria, Leon Michels alle tastiere, Nick Movshon al basso, Brian Olive alla chitarra) e con loro e il maestro ha cominciato a lavorare nei suoi studi di Nashville registrando spezzoni di musica, intro e outro, assoli, frammenti sonori, ritmi, senza mai le voci. Un mese dopo Dr. John è ritornato in studio con Auerbach a lavorare sulla voce e le liriche, aveva preparato alcune idee per ogni traccia strumentale, non erano ancora canzoni strutturate, solo idee, parole, poesia. Auerbach lo ha aiutato a convergere questi abbozzi di liriche in ciascuna delle parti strumentali registrate precedentemente, poco per volta le canzoni sono venute fuori, con le loro melodie e i cori. Il risultato è un disco di Dr. John piuttosto diverso dagli altri, per il modo in cui è stato concepito e per le sonorità più spigolose e moderniste, un disco che insiste su un groove continuo e ipnotico, un roll over di funk e New Orleans R&B già messo in evidenza nel precedente City That Care Forgot ma qui suonato con le tastiere e il piano elettrico, non il pianoforte tradizionale. Le voci dei McCrary Sisters sono protagoniste quasi quanto la voce del dottore e il suono sa di ferraglia, aguzzo e tecnologico, ha la modernità di un disco dei Black Keys anche se lo stile è diverso. Voci sovrapposte, ossessioni elettriche, cori ripetuti, fulminei ganci di chitarra, rumori elettronici, beat incalzanti, tastiere che si incrociano, il disco proietta Dr. John nel mondo odierno del rock, non tutto funziona, qualcosa suona freddo, altri momenti il groove è talmente coinvolgente che ci si abbandona volentieri alla litania ritmica dello stregone. Canzoni che esaltano più i ritmi che le melodie e allora dall'iniziale Locked Down fino alla conclusiva God's So Good è un trionfo di groove e di funk con echi di Meters e Neville Brothers, pochi episodi lenti, tastiere vintage (addirittura un Farfisa in Revolution), cori e fiati, ritmi afro-cubani, nebbie di paludi, funk etiope, gospel, jazz ed un pò di rock in Getaway. Come dire, anche questa volta la medicina è servita. Di ultima generazione ma ugualmente efficace.
Nulla di comparabile al Gris Gris del 1968, questo di Locked Down è piuttosto un voodoo per turisti o per qualche documentario televisivo.

MAURO ZAMBELLINI MARZO 2012






venerdì 9 marzo 2012

Wilco Alcatraz Milano 8 marzo 2012


Sono loro i numeri 1 nel rock di oggi? Probabilmente sì per quanto si è visto e ascoltato all'Alcatraz di Milano giovedì 8 marzo, almeno nel campo del rock contemporaneo; per il classic rock sarà bene attendere il 29 giugno quando a Lucca arriverà Tom Petty coi suoi Heartbreakers.
Wilco sono ritornati a Milano dopo due anni dal mitico concerto al Conservatorio e sono stati di nuovo strepitosi, se è possibile anche meglio della scorsa volta perché la location e chissà cos'altro hanno spinto verso uno show sudato e rock come pochi. Hanno suonato per più di due ore sciorinando potenza e classe, raffinatezza e rumore, melodia e feedback, pop e rock, ballate e avanguardia, riuscendo a mettere d'accordo i Beatles coi Velvet Underground, gli Who coi Talking Heads, Gram Parsons con i Television e creando all'Alcatraz un'atmosfera incandescente che ha coinvolto e appagato chiunque. Generosi e geniali non si sono risparmiati e hanno messo in campo idee e sferzate elettriche in una caracollante alternanza di estasi e tormento. Jeff Tweedy con un cappellaccio in testa ha diretto l'orchestra, cambiando chitarre ad ogni pezzo e cantando con quella voce dolente e assonnata che riempie di malinconia e caduca bellezza qualsiasi cosa canti. Di fianco a lui l'alchimista Nels Cline, lo stregone che fa viaggiare le chitarre su galassie sconosciute , lo scatenato Pat Sansone che tra chitarre, tastiere e maracas ha trovato il modo di imitare con la roteata Pete Townshend, l'uomo nell'ombra Mikael Jorgensen responsabile con tastiere, pianoforte e synth di imbastire un tappeto sonoro che è un magma di suoni, echi, scampanellii, interferenze elettroniche, oscillazioni, flash, l'energico e dinamico Glenn Kotche sulla batteria e John Stirratt, uno che suona il basso come una chitarra. Questa orchestra folle che ha per nome Wilco ha portato su Marte uomini e donne (tante) creando situazioni oniriche di sogno e contemplazione, estatiche direi, subito trafitte da un caos di rumori, distorsioni, frizioni elettriche in un gioco esaltante di costruzione e distruzione. Visionari, iconoclasti, dadaisti, Wilco sanno creare la bellezza assoluta attraverso una melodia che ha il profumo leggero dei Beatles, il pallore di Femme Fatale e la sofferenza di una ballata country e poi un secondo dopo sembrano negare tutto questo paradiso e come fossero black block scatenano l'inferno frizionando l'elettronica con il rock e con il noise, destrutturando il pop, il rock, il glam, perfino il country con un assalto sonoro che i Velvet Underground di What Goes On e Sister Ray andrebbero fieri. Con loro estasi e cieli blu si accompagnano a caos e delirio, il loro rock è heaven and hell, una travolgente dimostrazione di potere elettrico e senso melodico perchè alla fine dopo tanto rumore ed una estenuante cavalcata elettrica la canzone ritorna a essere tale e loro la chiudono sbrigativamente, quasi mozzandola. Magnifici, unici, innovatori. Dondolano sul mondo con Jesus e accordano le viscere per la devastante Misunderstood ripetendo all'ossessione nothing, nothing, nothing, inscenano uno sfuggente stato d'attesa prima che si scateni l'apocalissi di Handshake Drugs, spiazzano rileggendo in versione semiacustica Spiders (Kidsmoke) uno dei loro brani simbolo e frullano la Merkel con una memorabile Impossible Germany dove Nels Cline fa uno dei migliori assoli di tutto il concerto, pescano l'inattesa Hoodoo Voodoo dal disco che fecero con Billy Bragg su Woody Guthrie e con questa chiudono un concerto esaltante dopo un bis durato come una intera esibizione di qualche moderno gruppo brit-pop.. Tante le tracce prese da The Whole Love il disco più setacciato assieme a Sky Blue Sky e a Yankee Hotel Foxtrot. Anche uno scampolo del primo album A.M, Box Full Of Letters piazzato nella seconda parte dello show quando la tensione sembrava allentarsi dopo un inizio alle stelle con una sconvolgente Art Of Almost, con I Might, con Bull Black Nova, con At Least That's What You Said, con Impossible Germany salutata dal pubblico con un ovazione alla prima nota.
Alla fine, osannati e richiamati sul palco a gran voce, con Jeff Tweedy visibilmente soddisfatto e stranamente ciarliero, Wilco hanno messo letteralmente ko l'Alcatraz con le note di Whole Love, Theologians, Jesus, I'm the man Who Loves You, Red Eyed and Blue prima di infilare la devastante sequenza di Heavy Metal Drummer, I Got You (at the end of century) ed una Outta mind/outta sight mai così tellurica, spettacolare e rockata.
Concerto della Madonna, una festa della donna indimenticabile.

MAURO ZAMBELLINI MARZO 2012