lunedì 30 maggio 2011

domenica 22 maggio 2011

In memory of William Paul Borsey Jr. (pt. one)


Un mio amico di Somma Lombardo, città dove vivo, durante un trasloco ha rinvenuto delle splendide fotografie che fece nel lontano 6 giugno 1984 al Teatro Tenda di Milano durante lo show di Mink DeVille. Queste foto mi offrono l’occasione di rivangare una delle migliori apparizioni di Willy DeVille in terra milanese. Era la seconda volta che Willy e la sua ciurma capitavano a Milano, la prima era stato il 19 luglio del 1982 in Piazza Vetra in uno show brutalmente interrotto dalla polizia sul più bello, sulla esecuzione di Lipstick Traces a causa delle lamentele del vicinato del Ticinese infastidito dai rumori e dal numeroso pubblico vociante. In effetti la giunta socialista che aveva organizzato il concerto per farsi popolarità tra il pubblico giovanile aveva relegato Mink DeVille a tarda notte dopo una serata a base di new-wave inglese con Echo &The Bunnymen e Soiuxsie and The Banshees, forse il popolo del Ticinese non aveva tutti i torti ma non è che tutte le sere capita di avere Willy DeVille che suona sotto casa, forse un po’ di tolleranza non sarebbe guastata ma si sa come vanno certe cose. Probabilmente Milano stava facendo le prove per il cambiamento, passando da quella che era una delle città della Resistenza e della tolleranza alla roccaforte del berlusconismo e del leghismo intransigente. Comunque… quando Willy o meglio Mink DeVille perché al tempo si chiamava ancora così, tornò a Milano nel 1984 fu un concerto memorabile, uno dei migliori tenuti in Italia, soprattutto per chi ha amato il primo Mink DeVille, quello affilato e newyorchese degli esordi, solo in parte contaminato coi ritmi ispanici e New Orleans, ancora immerso in un mondo di rock n’roll alla Chuck Berry, di soul alla Ben E.King, di sporco R&B da bassifondi. Era il Mink De Ville della Losiada ovvero la Lower East Side di New York, una zona al tempo ancora pericolosa e off limits, frequentata da tipacci che facevano per nome Spanish Jack e da donne che si atteggiavano a belle de nuit mai in realtà erano battone di Alphabet City come la Venus of Avenue D.

Al Teatro Tenda Willy è comparso sul palco con l’immancabile sigaretta ed il mazzo di rose rosse, introdotto da una versione strumentale di Good Pork Pie Hat di Charlie Mingus. Poi via via tra una sigaretta accesa ed una spenta, un colpo di bacino e una strizzatina di occhi, una smorfia mortifera e una rosa per le signore della prima fila, il Salvador Dalì della Lower East Side ha cantato il meglio dei suoi cinque album passando dal Cabretta di Mixed Up Shook Up Girl fino ad Where the Angels Fear To Tread di Each Word’s a Beat of My Heart e Lilly’s Daddy Cadillac stregando i quattromila del Teatro tenda con un rock and soul pachucato di asfalto e flamenco, crudele come uno stiletto e dolce come un bacio.
La band ha risposto alla grande, del vecchio Mink De Ville c’erano il sassofonista Louis Cortellezzi, il tastierista Kenny Margolis, un vero mattatore e il chitarrista Rick Borgia, nuovi erano il bassista e due percussionisti che un tempo suonavano negli Heart Attack di Jack Mack, gruppo R&B prodotto da Roy Bittan. Il pubblico, caldo e preparato come poche altre occasioni, è andato in visibilio e si è sciolto nel finale quando sono arrivate, a sorpresa, le riprese di Save The Last Dance For Me e Spanish Harlem. Un trionfo, che vale la pena di rivivere con le foto di Maurizio Buratti, amico interista, springsteeniano e uomo di sinistra.

MAURO ZAMBELLINI


(continua)

giovedì 5 maggio 2011

Those Who Died Young: Lowell George


Nei primi giorni dell’agosto 1977 Lowell George assieme al gruppo di cui era leader, i Little Feat, registrava al Rainbow di Londra quello che è unanimemente considerato uno dei più grandi album live degli anni ’70 ovvero Waiting For Columbus. Neppure una settimana dopo quel concerto, dall’altra parte dell’oceano a Memphis moriva Elvis Presley, il Re del rock n’roll, colui che aveva dato inizio a tutto e grazie al quale si era arrivati a Columbus . Mi ricordo quelle date come fosse ieri. Era il 3 agosto del 1977 ed ero di passaggio a Londra sulla via di una vacanza in Irlanda, sfogliando Time Out vidi annunciate quattro serate di fila dei Little Feat al Rainbow Theatre. Rimasi a bocca aperta (nell’era senza internet le informazioni non erano così facilmente disponibili) e immediatamente in me scattò quella automatica fibrillazione per cui non devi perderti l’evento nemmeno se ci si mette di mezzo un esercito. Figuriamoci se l’ostacolo sono una fidanzata ed un paio di amici. Cercai di convincere democraticamente i miei compagni di viaggio a stravolgere i programmi della giornata per non lasciarsi sfuggire quell’occasione più unica che rara, poi all’ennesima resistenza minacciai di abbandonarli in metropolitana ed andarmene per i fatti miei tenendomi le chiavi della macchina. Alla fine si convinsero e riuscii a trascinarli al Rainbow, naturalmente sold-out, ma con uno stratagemma che solo la più strenua delle convinzioni riesce a farti immaginare riuscimmo a dribblare la security ed entrare nel teatro, in platea, senza biglietto e senza posto assegnato, balzando da un posto all’altro con nonchalance per spiazzare le maschere. Fu un concerto memorabile, una di quelle esperienze indimenticabili, perché lo show fu fantastico e perché ci registrarono quel live diventato leggenda. Ancora oggi i miei amici mi ringraziano, la fidanzata se ne è andata da un pezzo.
Lo strepitoso concerto del Rainbow fu poco dopo immortalato da Waiting For Columbus uscito nel 1978 quando ancora si credeva che la strada dei Little Feat fosse lastricata di gloria e successo. Invece per un infausto gioco del destino l’anno seguente Lowell George allungò la lista di quelli morti giovani, caduti nella rovinosa guerra degli anni settanta.

E’ una storia degli anni 70 quella di Lowell George col suo carico di ineluttabile fatalità , innocenza, euforia e tragedia, una di quelle storie che drammaticamente fecero la biografia di tanti rocker. Nato il 13 aprile del 1945 sotto il segno di Hollywood grazie al padre Willard (morto quando Lowell aveva solo 10 anni) ricco pellicciaio delle star del cinema, il piccolo Lowell soffre di bulimia creativa e già in giovane età si destreggia con sassofoni, sitar (seguirà le lezioni della Kinnara School of Indian Music aperta da Ravi Shankar a L.A), armonica e con una Fender Stratocaster che sarà una specie di appendice del suo corpo. Diventa cintura marrone di karaté frequentando la Hollywood High School ma la sua passione è la musica, studia perfino il shakuhachi un flauto di legno giapponese noto per la difficoltà con cui si suona. Nell’autunno del 1963 lavora presso un distributore di benzina e stazione di servizio e la sua immaginazione si inebria delle storie romantiche dei camionisti e dei lunghi viaggi sulle strade d’America, visioni che poi riverserà in due delle sue più belle composizioni, Willin’ e Truck Stop Girl.
Nutre una passione sfrenata per il bluesman Howlin’ Wolf a cui dedicherà la lancinante versione di Forty Four Blues/How Many More Years facendosi aiutare dalla chitarra di Ry Cooder. Nel 1965 Lowell George forma The Factory il cui batterista viene scelto con un annuncio sul LA Free Press che strilla “drummer wanted. Must be freaky”. Si presenta Richie Hayward ed il gioco è fatto. The Factory è la prima rock-band di Lowell George, ma è nell’entourage di Frank Zappa che George trova la sua strada. Nel novembre del 1968 Frank Zappa lo ingaggia come cantante e secondo chitarrista delle Mothers of Invention nelle registrazioni di Weasels Ripped My Flesh ma quando questi ascolta per la prima volta la versione di Willin’ con quegli espliciti riferimenti “all’erba, alle polveri e al vino” con gentilezza invita Lowell a farsi da parte, lasciare le Mothers e mettersi in proprio. Cosa che George fa prontamente raccattando il batterista dei Factory Richie Hayward e convincendo Bill Payne, un surfista di Santa Maria appassionato di pianoforte, ad unirsi a loro. Come bassista si prende dalle Mothers of Invention Roy Estrada e i Little Feat, nome che allude ai piedi piccoli di George, sono belli che fatti. Li tiene a battesimo l’amico Russ Titelman, un tipo del giro di Jack Nitzsche (Rolling Stones, Willy De Ville, Phil Spector) il quale produce nel 1971 l’album d’esordio, una collezione di stralunati e bizzarri blues che focalizzano il surrealismo di Lowell George.
Le stesse fotografie della copertina, quattro clochard imbacuccati con cappotti, sciarpe e cappelli davanti ad un enorme pannello iperrealista nel mezzo della desolata periferia losangelena trasmettono una naivetè hippie che sembra figlia di un uso massiccio di marijuana e droghe psichedeliche. Nelle intenzioni il disco avrebbe dovuto essere la risposta west-coast a The Band, sofisticato e rootsy allo stesso tempo ma le canzoni di George erano così sballate e imprevedibili che il risultato fu di spiazzare critici e pubblico, un mosaico di ritmi e melodie che si incastravano e si spezzettavano continuamente con liriche che ereditavano una stramba mitologia della strada.
La natura di road-album è espressa da una canzone che era un puro inno on the road, l’immensa Willin’ proposta nella sua versione originaria anche se Johnny Darrell e i Seatrain l’avevano già inserita in un loro album. Willin’ riapparirà nel secondo album dei Feats, Sailin’ Shoes del 1972 meglio rifinita e con la steel guitar di Sneaky Pete al posto di Ry Cooder oltre allo splendido lavoro pianistico di Bill Payne.
Sailin’ Shoes è ancora naif e rispetta la stramberia e l’immediatezza dell’album debutto anche se viene più curato nei dettagli . La copertina è un disegno di Neon Park, l’allucinato amico-grafico che inaugura la sua galleria dell’assurdo (sarà il cartoonist ufficiale del gruppo fino alla sua morte nel 1993) con un flash colorato di improbabili paggi seicenteschi rimiranti fette di torta dalle sembianze femminili che vanno in altalena, lumache giganti, scarpette rosse svolazzanti e alberi che hanno gli occhi. E’ un trip che “disegna” la musica di Lowell George, qui in campo con una serie di canzoni memorabili, dalla magia pop di Easy To Slip al nervoso rock-funky di Cold, Cold, Cold, dall’elegiaca atmosfera di Trouble con tanto di fisarmonica all’iconoclastico A Apolitical Blues.
Il folgorante rock n’roll di Teenegae Nervous Breakdown e la sghemba e acida Texas Rose Cafè completano una umorale geografia da easy rider e da bikers persi nel deserto californiano.
Entrambi gli album, splendidi ancora oggi a quarantanni dalla loro pubblicazione, sono un vistoso flop commerciale con poco più di diecimila copie vendute. Ciò non toglie che Lowell George sia già un nome di culto nel mondo del rock e dato che mantenere tre figli e due mogli non è cosa da poco lavora in mille progetti, come sideman nei dischi di Bonnie Raitt, Linda Ronstadt, Jackson Browne, Van Dyke Parks, Carly Simon, Harry Nilsson, John Sebastian, James Taylor, i Meters, Etta James , il jazzista Chico Hamilton e come produttore in Shakedown Street dei Grateful Dead. Ma sono i Feats il suo amore e quando Roy Estrada getta la spugna per unirsi a Captain Beefheart la band viene rivoluzionata con l’arrivo da New Orleans del bassista Kenny Gradney e del percussionista Sam Clayton mentre come secondo chitarrista viene ingaggiato Paul Barrere. Il cambio è netto, quella che era una zingaresca country-blues band da tavole calde e sognanti hippies del Mojave desert diventa una rock n’roll band solida, potente, versatile, sulla falsariga degli Allman con un campionario di ritmi da far paura. La band è ora un mostruoso N’awlins funk sextet e Lowell George il leader maximo che produce nel 1973 Dixie Chicken disco che raddoppia le vendite degli album precedenti. La pazza e utopica southern California delle prime canzoni di George incontra i ritmi e i rumori che salgono dalle paludi della Louisiana, l’ammirazione di George per Allen Toussaint trova riscontro in On Your Way Down mentre Lafayette Railroad spinge i Feats verso sud-est. Lowell George scala l’Himalaia : Dixie Chicken è un instant classic, Two Trains un gospel blues che porta a New Orleans gli Stones di Let It Bleed , la lenta Roll Um Easy per pura slide e voce è una estatica visione di Delta, Fat Man In The Bathub un funky-blues colossale.
Nel 1974 i Little Feat sono la miglior rock n’roll band americana in attività e Lowell George un autore/musicista genio e sregolatezza. La cocaina è un’amica troppo frequente nella vita dell’artista e non solo per divertimento, anche per necessità visto che il nostro soffre di una forma di dissociazione bipolare, una sorta di schizofrenia che lo tiene sveglio per giorni e giorni e così la droga lo aiuta a placare i suoi demoni.
Nel 1973 durante un periodo di break del gruppo George segue il tour di Linda Ronstadt e Jackson Browne e poi si rifugia con la famiglia nel Maryland nel tentativo di sfuggire alla pressione di Los Angeles. Lì, presso i Blue Seas Studio di Hunts Valley, insieme ai Feats registra Feats Don’t Fail Me Now il disco che decreta il riconoscimento commerciale del gruppo. Pur assemblato con tracce già pubblicate (la medley di Cold,Cold, Cold/Tripe Face Boogie), prodotto per metà da Van Dyke Parks e per metà da George con una registrazione low budget il disco ottiene un successo imprevedibile e lancia nell’etere almeno due classici del songbook di George: l’immensa Spanish Moon e Rock n’ Roll Doctor.

Nel gennaio del 1975 la WB manda la band in Europa in tour coi Doobie Brothers ma quando ritorna negli Stati Uniti il comportamento di George è deteriorato. L’ iniziale incoraggiamento verso Bill Payne e Paul Barrere a scrivere canzoni non si traduce in una positiva collaborazione, spesso George rifiuta di cantare il materiale degli altri e più il gruppo diventa popolare più lui si isola e si sente scontento. Si rifugia in sé stesso e l’indecisione lo porta in un tunnel autodistruttivo. Per il nuovo disco Time Loves A Hero scrive solo il macho-funky-rock Rocket In My Pocket e co-scrive con Paul Barrere Keepin’ Up With The Joneses, è distante dagli altri e quando per la prima volta sente lo strumentale A Day At The Dog Races trasale e sbotta “cos’è questo, un pezzo degli Weather Report?”. Apatico e svogliato si rifiuta di suonare gli assoli del disco, solo dopo le continue esortazioni del produttore Ted Templeman si muove dalla sua camera e si presenta nello studio in pigiama a fare il suo sporco lavoro.
La pubblicazione dell’immenso Waiting For Columbus maschera una situazione di fatto compromessa. Nell’ultimo suo anno di vita Lowell George lavora al nuovo disco dei Feats (Down On The Farm) che vedrà la luce solo dopo la sua morte e porta a termine il suo disco solista (Thanks I’ll Eat It Here) un progetto ambizioso con 45 musicisti accreditati, uscito nell’aprile del 1979 dopo che i Feats si erano sciolti.
Disco singolare Thanks I’ll Eat It Here vede George alle prese con una serie di canzoni (Jimmy Webb, Allen Toussaint, Ann Peebles) di largo consumo radiofonico, con una bella cover di Easy Money della emergente Ricky Lee Jones (è lui a portarla alla Warner Bros.) e con un pugno di brani originali tra cui la ripresa di Two Trains dei Feats. Non c’è solo rock nel disco ma anche pop e diverse citazioni del sound di New Orleans oltre ai riferimenti figurati (presenti nella copertina) di personaggi quali Allen Ginsberg, Bob Dylan , Fidel Castro, Marlene Dietricht ritratti in un disegno-parodia del celebre Dejeneur sur l’herbe di Claude Monet.
Lowell George il 15 giugno del 1979 parte per un tour di tre settimane assieme al chitarrista Fred Tackett. Il 28 giugno suona a Lisner in DC, Tackett afferma che quel giorno Lowell George telefonò a Richie Hayward, Sam Clayton e Kenny Gradney assicurandoli che una volta rientrato a Los Angeles avrebbe rimesso in pista i Feats. Dopo lo show George e gli altri andarono ad un party a casa di qualcuno, poi verso le sette del mattino la band raggiunse il Marriott Hotel di Arlington in Virginia mentre George andò a dormire verso le otto. Ebbe problemi respiratori, la moglie Elizabeth ed il road manager Gene Vano cercarono di scuoterlo e per un breve periodo il respiro tornò normale, poi qualcosa andò storto e Lowell George cessò di respirare. Arrivarono i poliziotti ma non trovarono nulla di sospetto, fu diagnosticata la morte per attacco cardiaco. La moglie disse che erano stati i medicinali che Lowell prendeva in combinazione mischiati con l’alcol a causare l’incidente.
Quando si resero conto che Elizabeth George ed i figli non avevano nessuna assicurazione, Bill Payne e gli altri Feats organizzarono per sostenerli il 4 agosto del ’79 un concerto al Forum di Los Angeles. Parteciparono 20 mila persone tra cui il Governatore della California, Linda Ronstadt, Bonnie Raitt, Jackson Browne, Emmylou Harris e Nicolette Larson. Alla fine tutti cantarono Dixie Chicken.

MAURO ZAMBELLINI