mercoledì 27 ottobre 2010

John Hiatt Auditorium di Milano 25 ottobre 2010


Magistrale, straordinario, sono i due aggettivi che mi vengono in mente dopo aver assistito al concerto di John Hiatt and the Combo all’Auditorium, una venue finalmente all’altezza delle esigenze acustiche degli appassionati e dei paganti, un teatro completamente rivestito di pannelli di legno dove le onde acustiche trovano la loro collocazione migliore sovrapponendosi, interferendo e riflettendo nel più armonico dei modi. Ci voleva un ambiente simile per premiare un set eccellente come quello di John Hiatt che col bassista Patrick O’Hearn, il bravissimo chitarrista Doung Lancio e l’amico di cordata, il batterista Kenneth Blevins ha dato vita ad un concerto intenso e romanticamente old time valorizzando con un sound asciutto e chitarristico il suo ricco songbook. Titoli ormai diventati dei classici estratti dai suoi album del passato (in particolare Bring The Family, Slow Turning e Walk On) e brani recenti, quelli dell’acclamato The Open Road hanno beneficiato di arrangiamenti che li hanno rivitalizzanti secondo una veste ora semiacustica con tanto di chitarra del leader e mandolino da parte di Lancio (ad esempio una Crossing Muddy Waters pregna di umori country-blues ed una Tennessee Plates tirata country-rock) oppure sono stati macerati in un denso schiumare di blues come nella scura Like A Freight Train e nella delirante Memphis in the Meantime, uno degli assoluti highlights dello show. Un suono bluesato ha caratterizzato l’esibizione di Hiatt reso ancor più evidente dalla sua voce negroide ma anche uno sferragliare di chitarre rock quando si è assistito ad autentiche improvvisazioni strumentali come il lungo alla U2 di Real Fine Love o il finale jammatissimo di una colossale Riding With The King dove sembrava di avere di fronte (look permettendo) gli Stones dell’era Sticky Fingers.
Hiatt e si suoi soci hanno saputo stravolgere le canzoni in senso positivo offrendo loro quella dimensione live che è poi quella che si chiede quando si va ad un concerto e non ci si accomoda in poltrona ad ascoltare il disco in studio. Fenomenale l’intreccio delle chitarre, l’ acustica e la Telecaster di Hiatt e le numerose usate da Doug Lancio, un vero mago delle sei corde che si è sbizzarrito ora con le Gibson, ora con le Fender, ora con anonime e colorate cheap guitars, ora con una meravigliosa Gretsch di color arancio dal suono fifties, ogni volta aggiungendo sapori e delizie a canzoni che già di per sé sono dei capolavori. Perché la bravura di Hiatt al di là della sua voce forte, profonda, espressiva che si alza e abbassa di tonalità in un gioco di chiaro scuri sorprendenti che consente di passare dalle confidenza da crooner all’urlo del R&B e poi alle profondità del blues e della sua capacità di stare in scena come performer è proprio la ricchezza del suo scrivere, una serie impressionanti di storie, immagini e personaggi che da sole potrebbero raccontare l’avventura dell’animo umano. Canzoni diverse l’una dall’altra, ognuna riconoscibile, memorizzabile, tutte ricche di anima e sentimento. Sia che siano ballate del cuore come l’uggiosa Feels Like Rain, come la forte Cry Love, come la bucolica Walk On e come una riveduta Have A Little Faith con la chitarra, sia che siano quelle scoppiettanti cavalcate di Drive South, Perfectly Good Guitar, The Open Road, Slow Turning che offrono il lato più selvaggio e stradaiolo di Hiatt.
Tanti gli applausi ricevuti dall’artista e dal suo combo e tanti i ringraziamenti dell’artista verso un pubblico niente affatto numeroso, unico neo di una serata indimenticabile.

Mauro Zambellini Ottobre 2010

lunedì 11 ottobre 2010

John Fogerty > Centerfield


Se dovessimo valutare come è stata assemblata la riedizione del 25th Anniversary di Centerfield lasceremmo subito perdere perché con un disco simile era gioco forza aggiungere materiale ben più succulento delle due uniche bonus tracks, un brano di influenza cajun di Sidney Simien My Toot Toot, più volte esibito in concerto nei recenti tour ed uno di derivazione gospel, I Confess amato dal Fogerty giovane e proveniente dai misconosciuti Four Rivers. Per fortuna c’è l’album originario che è ancora un buon disco nonostante siano passati 25 anni dalla sua pubblicazione.
Centerfield è il secondo disco solista di John Fogerty dopo l’omonimo del 1975 e dopo l’escursione bluegrass del 1973 coi Blue Ridge Rangers. Un disco che ebbe una gestazione lunga e travagliata perché Fogerty ancora alle prese col boss della Fantasy Saul Zaentz con cui l’ex Creedence ebbe un lungo contenzioso riguardo il possesso, i diritti e l’ utilizzazione del proprio materiale. A Zaentz è dedicata una sarcastica e graffiante canzone, peraltro piuttosto scadente per via di una ritmica electro-dance che centra come cavolo a merenda, dal titolo Vanz Kant Danz titolo mutato dall’originale Zanz Kant Danz per questioni di querele. E’ l’unico episodio debole di un disco che presenta almeno tre grandi titoli del songbook di Fogerty ovvero The Old Man Down The Road una sorta di rinnovata Run Through The Jungle e poi Rock and Roll Girls con tanto di sassofono alla Clemons e Centerfield rutilante pop-rock che inizia come fosse La Bamba. E’ la canzone che titola l’album e sottintende alla passione di Fogerty verso il baseball, centerfield è difatti colui che nel baseball gioca in difesa al centro dell’area denominata campo esterno tra l’esterno sinistro e l’esterno destro. Ma centerfield è il centro del campo della carriera di Fogerty, simbolicamente indica il lavoro che sta a metà della sua avventura artistica e discografica, tra l’era Creedence degli anni ’70 ed il ritorno alle scene discografiche degli anni novanta con Blue Moon Swamp.
I legami coi Creedence in Centerfield sono marcati da Big Train (From Memphis) che potrebbe appartenere a Willie and The Poorboys, da I Saw It On T.V è una ballata nostalgica che ha qualche vaga relazione con Have You Seen The Rain e Mr.Greed un focoso R&B urlato a squarciagola, oltre a Searchlight uno swamp-rock di origine born on the bayou.
Fogerty nel disco fa tutto da solo, scrive le canzoni, le canta, suona tutti gli strumenti e produce. Il nuovo contratto con la Warner Bros. gli aveva dato nuova energia e motivazioni, aveva finalmente il pieno controllo sulla propria musica e nonostante l’iniziale diffidenza verso la nascente Mtv acconsentì anche alla realizzazione di un video promozionale. I risultati furono immediati: sebbene fosse lontano da dieci anni dal mercato Centerfield andò immediatamente in cima alle classifiche di Billboard.
Purtroppo la ristampa si limita a proporre il materiale originario con sole due bonus tracks , la simpatica My Toot Toot registrata in Louisiana con il fisarmonicista Rockin’ Sydney e altri luminari della musica cajun e la pregnante I Confess, uno sconvolgente brano gospel registrato con l’ausilio del sassofonista Steve Douglas e le voci di Bobby King, Terry Evans, Willie Green.

MAURO ZAMBELLINI

lunedì 4 ottobre 2010

Southside Johnny and The Asbury Jukes > Pills and Ammo


Southside Johnny and The Asbury Jukes > Pills and Ammo Floating World Records

Era da Better Days del 1991 che Southside Johnny non faceva un disco così forte, determinato, diretto. Un disco che lo riporta agli antichi splendori quando con i Jukes rappresentava il lato sguaiato, focoso e R&B della musica del Jersey Shore. Better Days prodotto da Little Steven con la partecipazione attiva di Springsteen e di alcuni E-Streeters lo si ricorda ancora oggi come un disco di rock tosto e ricco di belle canzoni e l’affondo nel blues dell’ora tardi di Messin’ With The Blues del 2000 prodotto da Garry Tallent aveva il pregio di mostrare una faccia più intima e notturna del soulman del New Jersey. Pills and Ammo sintetizza con maestria e modernità quei due album, da un lato il rock-soul esuberante ed arrembante di Lyon urlato con l’ugola arsa dall’whiskey e amplificato da una sezione fiati che unisce Stax sound e Muscle Shoals horns, dall’altro lato le venature blues e le chitarre di Bobby Bandiera e Andy York ( il chitarrista di Mellencamp) abili nell’infilarsi negli spazi vuoti lasciati dalla sarabanda fiatistica degli Asbury Jukes. Il risultato è una miscela incandescente di rock, soul e blues al servizio di canzoni perfettamente riuscite nel loro intento ovvero far divertire, bere, ballare, sudare, intenerire come in una revue di qualche big band degli anni quaranta e cinquanta.
Mirabile la produzione di Lyon e del pianista Jeff Kazee che con oculata misura ed eleganza riescono a fare di Pills and Ammo un disco ridondante di suoni e stringato di arrangiamenti, niente bolse coreografie quindi ma la prova che si può realizzare un disco con undici musicisti più coristi e coriste, tra cui la prorompente Lisa Fischer (Stones e Tina Turner) senza soffocare le canzoni. Le quali sono tutte di ottima fattura, frutto del sodalizio tra Lyon e Kazee.

Harder Than It Looks apre la festa ed è subito chiaro che frizioni non ne esistono e l’insieme tra l’imponente suono delle trombe e dei sax, la voce di Southside, una sezione ritmica che si sente e le chitarre, è impressionante e travolgente.
Soul-rock di prima classe come Cross That Line dove le chitarre e le coriste urlano la volgarità degli Stones ed il piano è un orgia memphisiana.
Meno orchestra e più combo in Woke Up This Morning un blues cha sa di Chess Records con Southside che soffia nell’armonica il vento di Chicago e Andy York che gli risponde slidando il Delta blues. Quello che Southside aveva imparato in Messin’ With The Blues qui è messo in mostra in tutta la sua caustica bellezza. Se Lead Me On mette a nudo l’arrendevolezza dell’uomo che chiede alla propria amata un'altra chance ed è una canzone d’amore dai toni dolci, Heartbreak City è puro, sporco, elettrico R&B con un riff di chitarra assassino alla Primal Scream e voci in preda alla follia della città. Dollari, donne, strade e peccati. Punk-R&B rabbioso e duro prima della calda e malinconica Strange Strange Feeling. Qui gi strumenti sono puliti, mixati con grande amore e cura, la voce è confidenziale mentre è istrionica nella ironica Umbrella In My Drink dove c’è un duetto con Gary U.S Bonds e il mood è quello di uno sbilenco, allegro e bislacco New Orleans sound shakerato dixieland.
One More Night To Rock è un rockaccio diretto e tirato a mille, con i fiati indemoniati e l’armonica che si sposa con la voce di Lisa Fisher in un torrido R&B che piacerebbe sia a Jagger che a Richards.
Chiudono le danze A Place Where I Can’t Be Found una ballata stile Van Morrison, il pirotecnico Keep On Moving un salto negli anni ’50 tra Jerry Lee Lewis e Chuck Berry e Thank You ideale e delicata conclusione del disco.
Pills and Ammo è un disco tatuato dentro il DNA di Southside Johnny e i suoi Asbury Jukes ma non per questo è rivolto nostalgicamente al passato pur rispettando la completa genealogia del rock n’roll e del R&B, piuttosto dimostra come Southside Johnny sappia ancora inaspettatamente sorprendere in quel confine tra soul e rock che ormai conta pochi adepti.

Mauro Zambellini Ottobre 2010