mercoledì 31 dicembre 2008

La banda dei fratelli Allman



L’avventura musicale della Allman Brothers Band si sviluppa in quattro periodi di tempo: l’inizio degli anni ‘70 contrassegnati dalla leadership del chitarrista Duane Allman, gli anni della raggiunta popolarità sotto la guida di Dickey Betts e Gregg Allman, il ritorno, dopo lo scioglimento degli anni ‘80, con Betts e Gregg Allman ancora timonieri e la recente rivoluzione dovuta all’allontanamento di Betts, con la front line di chitarre  affidata a Warren Haynes e Derek Trucks, un tandem bluesistico che ha riportato la band sulle orme di Duane Allman.

Negli anni ’70 la ABB costituisce una delle espressioni più influenti e originali del rock americano. La miscela di rock e blues che essa interpreta è un superamento dei codici impressi al genere dai musicisti del british blues (in particolare Cream e Fleetwood Mac) e di fatto costituisce una vera e propria rivoluzione in campo musicale. Se di fatto la base da cui partono gli Allman è la stessa di quella dei musicisti inglesi ovvero il classico blues americano di Willie Dixon, Muddy Waters e Sonny Boy Williamson, il loro atteggiamento è molto più progressivo perché incamera gli esperimenti jazzistici di Miles Davis e John Coltrane ed espande il linguaggio blues con una strategia basata sull’improvvisazione e su una dinamica doppia sezione ritmica costituita da due batterie ed un basso. Davanti alla sezione ritmica operano due chitarre quasi complementari, le Gibson di Duane Allman e di Dickey Betts che incrociano coi loro assoli blues, rock psichedelico e country-rock in quello che verrà sbrigativamente definito southern rock. 
Duane Allman è l’anima blues della band,  non usa il plettro ma il pollice e due dita della mano destra e suona la slide usando una boccetta  vuota di aspirina Corycidine, che grazie  a lui farà epoca tra i chitarristi. Il suo stile ispirato al blues si vena di influenze diverse (viene soprannominato skydog per il suono stellare della sua Gibson) e si contrappone in modo creativo a quello di Dickey Betts il cui fraseggio estrapolato dal blues e dal rock n’roll ma anche dal country definisce perfettamente l’archetipo dell’assolo southern rock. Voce della band è Gregg Allman, il soulman della ABB, il cui organo Hammond e le cui tonalità vocali colorano di soul e gospel l’incendiaria miscela blues-rock del gruppo. Duane Allman, Gregg Allman, Dickey Betts, i batteristi Jaimoe e Butch Trucks e il bassista Berry Oakley sono le pedine di questa straordinaria blues-band dalle venature psichedeliche e jazzistiche che raggiunge la sua massima espressione  nel doppio album Live At Fillmore East , uno degli album dal vivo essenziali di tutta la storia del rock. 



Un disco che concentra idee e perfezione stilistica,  energia e  improvvisazione, un disco capace di emanare un feeling impressionante che afferma la rivincita delle blues band americane rispetto a quelle inglesi del british blues. 
La band aveva debuttato discograficamente due anni prima con l’omonimo The Allman Brothers Band,  a cui era seguito Idlewild South, quello che contiene l’originale versione di Midnight Rider, la ballata più amata da  Gregg Allman e  specchio del suo stile deep soul ma è con Fillmore East che la ABB si impone all’attenzione generale del mondo rock. 
Una recente pubblicazione intitolata Live At Atlanta International Pop Festival  costituisce un’altra grande testimonianza live di quel periodo. Registrato nel 1970 poco prima del Fillmore East, comprende la performance di Dreams, un brano etereo e notturno dalle implicazioni psichedeliche molto amato dai fans della band.
Irrinunciabile, per completare il periodo con la leadership di Duane Allman, è il doppio Eat A Peach del 1972, altro capolavoro che assembla materiale lasciato fuori dal Fillmore East, incisioni in studio con Duane e la prima versione di Mountain Jam (nell’originario vinile del Fillmore East non c’era), 35 minuti di psichedelia e improvvisazioni allo stato puro basate sul tema di There Is A Mountain di Donovan. Ma la cosa più bella di Eat A Peach è la presenza di tre tra le migliori ballate del catalogo Allman : la delicata Little Martha suonata con le chitarre acustiche da Duane e Betts, la dolce Melissa e la romantica e “panoramica “Blue Sky, che già nel titolo coglie quell’amore tutto sudista per gli spazi aperti a perdita d’occhio , per il cielo, per la natura, per la vita comunitaria nella natura, per le strade che si perdono all’orizzonte, un ode agli anni settanta e alle grandi utopie di quegli anni. Un disco apprezzato da Jimmy Carter nel suo periodo presidenziale.

Brothers and Sisters
Il 21 ottobre  1971,  a Macon in Georgia, Duane Allman muore sbattendo con la sua Harley Sportser contro un camion che gli aveva tagliato la strada. Poco prima aveva inciso il celebre assolo di chitarra di Layla, per diverso tempo attribuito a Clapton. Un anno dopo in simili circostanze muore anche il bassista Berry Oakley, il più affezionato a Duane tra i membri della band. La tragedia incombe con tutto il suo carico sinistro, sembra una novella di Flannery O’Connor ma è la maledizione che incombe sul southern rock (leggasi le biografie di Lynyrd Skynyrd e Marshall Tucker Band). 
La Allman Bros. Band  prosegue  col fratello Gregg e con il chitarrista Dickey Betts che  sposta il baricentro musicale  verso un fluido country-blues-rock dal fraseggio jazzistico, uno stile che diventa il marchio di fabbrica del southern rock della ABB. Con l’inserimento del versatile tastierista Chuck Leavell (oggi con gli Stones) e del bassista Lamar Williams per la band si apre un nuovo capitolo, meno segnato dal blues ma ugualmente brillante.
L’album del 1973 Brothers and Sisters suona più rurale e country dei precedenti ma raccoglie il seguito che la band si era conquistato sul campo. Raggiunge immediatamente il primo posto delle vendite di Billboard e ci rimane per sei settimane consecutive. E’ l’apoteosi del gruppo di Macon ed è un altro fondamentale capitolo della loro avventura. Il nuovo corso è sintetizzato dallo strumentale Jessica e da Ramblin’ Man , brani di Dickey Betts in cui lineari geometrie alla Django Reinhardt si sposano con gli umori dell’ honky tonk e con entusiasmanti cavalcate di Gibson Les Paul.

 

C’è anche l’apporto del chitarrista aggiunto Les Dudek ed il sound è arioso, frizzante e sognante, in perfetta sintonia con lo stile di vita degli hippies del sud, tutto funghi e cieli blu. 
Il seguente Win, Lose and Draw  insiste sullo stesso modello ma è una copia sbiadita di Brothers and Sisters nonostante ci sia una grande rivisitazione di un pezzo di Muddy Waters (Can’t Lose What You Never Had ) e la lunga High Falls costituisca uno degli strumentali migliori di Betts.
Wipe The Windows, Check The Oil, Dollar Gas ovvero pulisci i finestrini, controlla l’olio e fai benzina mette a nudo la filosofia on the road del gruppo ma in consolle non ci sono né Tom Dowd né Johnny Sandlin i produttori che avevano firmato i loro dischi migliori e allora questo doppio album dal vivo scompare se confrontato con quelli dell’era Duane.
Fermo restando che Live at Fillmore East  e Brothers and Sisters sono album imprescindibili nella storia della Allman Brothers Band, esiste una splendida antologia che sintetizza la storia della band fino a Win, Lose and Draw. Trattasi di The Road Goes On Forever, originariamente un doppio album che raccoglieva brani fino a Brothers and Sisters ma che la ristampa in doppio cd ha arricchito di tracce live e di altro materiale del periodo.
Il clima famigliare e lo spirito comunitario che avevano  caratterizzato la loro comune-hippie subisce un duro colpo per sporche storie di droga e delazione. Gregg Allman vittima di tanti anni di tossicodipendenza testimonia contro il roadie Scooter Herring per un traffico di droga, la crisi è inevitabile ed ognuno va per la propria strada. A poco serve la reunion del 1978, titoli come Enlightened Rogues, Reach Of The  Sky  e Brothers Of The Road sono la pallida copia dell’ antico splendore, lo scioglimento del 1982 più che lacrime porta un sospiro di liberazione.

Back Where It All Begins
Ma un nuovo interessante capitolo si apre negli anni ’90 quando agli originali Gregg Allman, Dickey Betts, Jaimoe e Butch Trucks si aggregano il chitarrista Warren Haynes, il bassista Allen Woody e il tastierista Johnny Neel. La ABB prima si imbarca in un tour che fa il tutto esaurito poi con l’aiuto del fido Tom Dowd alla consolle registra ai Criteria Studios di Miami il potente Seven Turns,  un album bluesato che si avvale dell’apporto fondamentale di Haynes e di Woody, un bassista cresciuto nel mito di Berry Oakley.
I sintomi sono quelli di un ritorno prepotente al rock-blues dell’era Duane ma l’evoluzione sarà graduale perché tra Seven Turns  e Hittin’ The Road, un disco che cerca di ristabilire una connotazione prettamente blues, ci sono di mezzo tredici anni e un bel po’ di dischi. Un periodo che ha visto crescere a dismisura il peso di Warren Haynes, una vera potenza in campo chitarristico (e vocale) che con la sua slide ha marchiato di blues uno stile che con Dicley Betts aveva altre sfumature. Anche Gregg Allman è sembrato rinascere dopo anni di dipendenza da droghe e alcol, la sua voce è ritornata pulita e franca ed un nuovo entusiasmo lo ha investito dopo la rottura con Dickey Betts, grande musicista ma ormai assorto da progetti individuali e non più in sintonia con il resto della band. 

Dopo i Seven Turns  escono Shades Of The Two Worlds (1991) e Where It All Begins ( 1994), due buoni lavori che insistono su una fusione di rock, blues e jazz ma se il sound non si discute sono le composizioni che non sono sempre all’altezza della loro fama. Manca quel quid che aveva fatto grandi i dischi del passato. Il livello è buono ma gli anni sembrano pesare nonostante brani apprezzabili come End Of The Line, un brano in cui Gregg si erge in tutta la sua grandezza e Kind Of Bird,  improvvisazione jam di alta scuola. 

Interessanti sono comunque An Evening With ABB e 2nd Set  due live in cui la band passa in rassegna materiale vecchio e nuovo e dimostra l’attitudine jam blues che gli è propria. Di sicuro non c’è  la straripante energia di una volta ma la musica scorre fluida, la ritmica è possente, rinvigorita dall’aggiunta del percussionista Marc Quinones  e alcune cose come la versione unplugged di In Memory Of The Elizabeth Reed e la riproposizione del classico di Willie Cobbs You Don’t Love Me depongono per una band che ha solo bisogno di una sferzata di vitalità.
Il punto più basso della nuova vita della ABB è Peakin’ At The Beacon, un molle live del 2000 che sancisce lo stato di crisi e i cambiamenti prossimi a venire. Nella primavera di quell’anno Dickey Betts viene allontanato per incomprensioni e scorrettezze con gli altri a causa del suo continuo delirio alcolico e Gregg trova naturale suonare con Warren Haynes, meno invadente ed egocentrico di Betts. Con Haynes e la grande promessa di Derek Trucks, un chitarrista a 360 gradi che darà il meglio di sé nel suo album Songlines. e Otel Burbridge  che riempie il posto lasciato vuoto dal bassista Allen Woody, la nuova line up a sette affronta le registrazioni a Hoboken di Hittin’ The Note, un disco solido come una roccia, ricco di buone composizioni  che tuona potente come da tempo non succedeva. Un disco all’insegna del blues con l’eco dei Gov’t Mule, la creazione personale di Haynes, Gregg  e con quell’inimitabile voce soul con cui Gregg Allman rende meravigliose le ballate che canta. La sezione ritmica è una tempesta perfetta, la musica è complessa e fluida al tempo stesso e le canzoni, dalla splendida Desdemona a High Cost Of  Low Living, dallo strumentale alla Gov’t Mule di Instrumental Illness al country-blues acustico di Old Friend fino alle esaltanti cover di Woman Across The River  e Heart Of Stone (Rolling Stones) sono di prima scelta. Ma gli Allman di Hittin’The Note non sono quelli dell’era Duane Allman nonostante il blues e nemmeno quelli pastorali e southern rock con Dickey Betts. C’è qualcosa che manca nella loro alchimia, sono di nuovo una delle migliori rock-blues band che io conosca ma il Live At Beacon Theatre ,annuale appuntamento a New York per una settimana di concerti tutti esauriti che ormai li vede protagonisti da parecchi anni. e i tanti Instant Records che li celebrano in ogni parte d’America come un fenomeno paragonabile solo ai Grateful Dead non riescono a ricostruire quell’incommensurabile grandezza e genialità che fu degli Allman anni settanta. Ciò non esclude che se finalmente venissero in Italia o anche solo in Europa (dopo tanti anni di assenza) noi saremmo gli uomini più felici di questa terra. 

Mauro Zambellini 

1 commento:

bobrock ha detto...

sono andato un paio di anni fa a NYC a sentirli al Beacon per tre sere. Praticamente ho fatto un mutuo...oltre ad aver raggiunto un accordo sindacale con la moglie che non mi voleva far andare da solo......
tre sere da sballo, tutto vero quello che dici ma se avessi avuto i soldi avrei visto tutte e 15 le serate.
Gli Allman dal vivo che favola....si e' vero non sono piu' gli anni 70' ....ma che spettacolo.