giovedì 25 settembre 2008

Willy DeVile a Trezzo sull'Adda


(14 marzo 2008) Sono passate due settimane ma il ricordo è ancora vivo e pulsante. Pensavo di trovarmi un DeVille acciaccato e stanco, seduto sullo sgabello a cantare i suoi dolenti Delta blues sporchi di Messico ed ecco invece il concerto che non ti aspetti, un concerto che nessuno osava prevedere alla vigilia, che ha riportato in auge il sound eccitante e sporco di Mink deVille. Un concerto ad alto tasso elettrico con il rock sugli scudi che ha riproposto lo stile spavaldo e i modi crudi del DeVille newyorchese degli anni ’70 e primi ’80, con tanto di Gibson alla Chuck Berry e la voce affilata che canta  Spanish Stroll,  Savoir Faire,  Venus Of Avenue D,  White Trash Girl,  Cadillac Walk e Italian Shoes con una determinazione ed una forza che era da parecchio tempo che mancava negli show del gitano.

Quello al Live Club di Trezzo è stato un concerto che ha rammentato il DeVille velenoso e duro del CBGB’s, pur con le differenze d’età e di un fisico ormai ridotto all’osso. Alto, magnetico, pallidissimo e magro da morire, Willy è apparso però più forma che nelle precedenti esibizioni italiane quando seduto sullo sgabello con la chitarra acustica incantava i presenti con commoventi ballad che traevano spunto dai suoi amori per il soul, il blues, New Orleans ed il vecchio jazz di Bourbon Street. Questo lato intimo di DeVille non è andato perso perché anche a Trezzo Willy ha alternato ai momenti più lancinanti e rock alcuni siparietti in cui ha fatto il bluesman di razza con una fangosa Muddy Waters Rose Out Of The Mississippi Mud oppure strizzando il cuore dei presenti con le struggenti Trouble In Mind, Heart and Soul  e Let It Be Me o spingendosi nei quartieri dello spanglish con la sua personale versione di Hey Joe e con l’ormai classica  Demiasado Corazon.

Ha anche avuto il tempo di “promozionare” Pistola alla sua maniera ovvero con soli due brani, So So Real e Been There Done That, dando ulteriore conferma della sua totale indipendenza verso i modi e i calcoli dello show business  e poi ha evocato da vero sciamano gli spiriti del bayou con la cantilenante Cheva. Ma gli highlights  dello show sono arrivati dal Mink De Ville tagliabudella delle notti newyorchesi, quando era di casa al Cbgb e il suo pachuco rock era la cosa più pericolosa della città almeno in termini di contaminazioni tra rock bianco e i suoni dei “negri” e degli ispanici. Così al pubblico più stagionato è sembrata magia riascoltare intense riproposizioni di  Mixed Up Shook Up Girl e Venus Of Avenue D recuperate dal primo album Cabretta e la devastante versione di Steady Drivin’ Man, punto sintesi tra Phil Spector, NY sound e i Rolling Stones, felice eredità di quel capolavoro che risponde al nome di Return To Magenta.

Vestito di nero con una palandrana da pirata dei bassifondi di Parigi più che dei Caraibi, imponente sul palco nonostante la sua magrezza, Willy ha fumato solo una sigaretta, bevuto succo di frutta e lanciato rose bianche ai presenti ma la sua musica è apparsa sconvolgente e stordente come quando si imbottiva di droghe e metteva paura a chiunque lo incontrasse nella notte e nelle stradine della Lower East Side di New York.

A dividere il palco con lui una Mink De Ville Band assemblata attorno a due vecchie conoscenze, il bassista Bob Curiano ed il batterista Shawn Murray, con Willy negli anni 80 e 90. Oltre a loro il chitarrista Mark Newman, non certo al livello del grande Fred Koella ma volonteroso ed efficace, il percussionista Boris Kinberg, il bravo Davin Brown al piano e le imponenti presenze femminili di Dorene e Madonna Wise, due vocalist che hanno tinto di gospel i brani di più recente scrittura. Una band non virtuosa ma compatta, energica, essenziale allo stiletto-rock di un DeVille che ha dimostrato una volta di più la sua imprevedibilità . Grande, unico, meraviglioso ed immortale. L’ultima delle rockstar. 


Mauro Zambellini

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